LUDOVICO EINAUDI: un pianoforte cosmopolita
Nella sua biografia non si accenna all’illustre editore da cui discende. Del resto la carriera artistica di Ludovico non ha mai avuto bisogno di puntelli laterali per crescere e fortificarsi. Formatosi al Conservatorio di Milano, Einaudi ha iniziato la sua avventura nel mondo musicale scrivendo per il cinema, il teatro, la pubblicità e la danza. Collaborazioni importanti con scrittori come Andrea De Carlo e registi come Nanni Moretti e Giuseppe Piccioni (le colonne sonore di Aprile e Fuori dal mondo). Parallelamente l’avvio di una carriera discografica che lo ha s o r p r e n d e n t e m e n t e proiettato anche nelle classifiche europee e sulle piazze più prestigiose dal mondo. La sua ultima impresa è un doppio album registrato dal vivo: La Scala: Concert (Bmg-Ricordi). Cominciamo da qui la chiacchierata. È il mio primo live in sedici anni di carriera. E in questi due cd c’è un po’ la sintesi, l’essenza di tutte le esperienze che ho vissuto fin qui, delle cose che ho amato. Anche perché avevo bisogno di verificare in prima persona il senso di ciò che sto facendo, creando un filo di comunicazione diretto con il pubblico, stando al centro della magia e delle emozioni che si possono creare solo durante un’esecuzione dal vivo. La tua musica è frutto di un crogiuolo di influenze stilistiche, dalla classica occidentale all’Africa, dal folk russo alla new-age. Colta e minimalista, eppure capace di arrivare anche al pubblico del pop. La mia musica è in effetti frutto di tante esperienze: Bach e Chopin che ascoltavo da bambino, il rock degli anni Sessanta con cui sono cresciuto, gli infiniti tesori del folk planetario che sto continuando a scoprire nei miei viaggi in giro per il mondo. In generale amo l’essenzialità. Meglio poche note buone che tante messe lì tanto per riempire. Se fosse l’arredamento di un ambiente, l’immagino come una stanza dove ogni cosa è scelta con cura, dove non ci sono orpelli ma tutto è ridotto all’essenziale, per dare valore anche allo spazio, ai silenzi. Oggi, in un music-business iper-medializzato ma in crisi profondissima, sembra non esserci quasi spazio per la musica strumentale: non solo in televisione, ma anche in radio… Immagino che una canzone abbia in sé un appeal più immediato. Ciò non vuol dire che sia questo il vero problema”. Cioè? Beh, la qualità media dei programmi televisivi non mi pare eccelsa. È una specie di circo, spesso molto squallido, che genera un circolo vizioso che abbassa anche il gusto della gente. Capita lo stesso coi network radiofonici, sebbene esistano emittenti e programmi – specie all’estero – che consentono ancora proposte meno sclerotizzate. E la risposta del pubblico dimostra che in giro c’è ancora molta fame di musica di qualità. A volte mi vien da pensare che sia anche perché certa musica porta a guardarsi dentro: un’operazione che soprattutto di questi tempi la gente ha paura o non è più abituata a fare… Può darsi sia così, ma la mia esperienza personale sembrerebbe dire l’esatto contrario: la gente vorrebbe guardarsi dentro, ma è quasi tutto il contesto circostante che lavora per impedirglielo. Sì, ma il tuo pubblico, purtroppo, fa ancora parte di un’élite… Non c’è dubbio. Infatti il punto credo sia trovare un equilibrio tra la purezza espressiva e la capacità di farsi capire dalla gente. Ennio Morricone, per farti un esempio di un musicista che stimo moltissimo, c’è riuscito. Esistono sostanzialmente due categorie di artisti: quelli che vivono isolati nella loro turris eburnea, creativa per preservarsi dalle nevrosi del mondo, e quelli che al contrario vivono proiettati all’esterno, nutrendosi da ogni imput che offre la società circostante. Tu a quale categoria appartieni? Mi piace alternare queste due dimensioni. Nei periodi più creativi sento il bisogno di isolarmi dal mondo, ma in tanti altri momenti preferisco aprire le finestre perché le suggestioni e le emozioni del mondo sono preziosissime per non fossilizzarsi e continuare a crescere. E devo dirti che la realtà circostante, nel bene come nel male, continua a stupirmi, a sorprendermi, e ad emozionarmi .