Lucia vive sulla frontiera dei migranti

Ventimiglia

Da poche ore è in corso da parte della polizia lo sgombero dei profughi dalla zona dei Balzi Rossi: le persone sono fatte salire su un pullman della Croce Rossa e chi si oppone viene trascinato di peso, anche se non è ancora chiaro dove saranno portate. Questo è ciò che accade sul piazzale davanti al confine con la Francia e la tensione continua ad essere altissima. In questo gran caso molti hanno tentato di fuggire in direzione degli scogli, dove si trovano ancora un’ottantina di profughi; tutti si sono portati sull’estremo limite della strada, vicini al muretto di separazione, da dove hanno continuato a protestare urlando: «Sono questi i diritti umani?».

Su questa scia ha titolato in questi giorni un quotidiano nelle pagine di Ventimiglia: la frase «Se questo è un uomo»  precedeva la serie di scatti fotografici dei profughi che da parecchi giorni vivono a Ponte San Ludovico ultimo avamposto italiano a ridosso del confine.

 

«Ponte San Ludovico è il luogo in cui nemmeno la compassione è rimasta. Dormono sugli scogli, si trovano guardati a vista da turisti, cittadini e dai poliziotti di due nazioni». Si, dormono sugli scogli avvolti nei teli termici luccicanti. A tratti le onde che si infrangono sui massi mandano spruzzi d’acqua e di schiuma sui loro corpi deboli e indifesi. Sono un’ottantina, “irriducibili” che chiedono di poter attraversare il confine, ma la cosa pare sempre più impossibile.  «I migranti non passano, se ne occupi Roma», fa sapere il ministro dell’Interno transalpino, Bernard Cazeneuve. E loro aspettano; rifiutano il cibo, pregano Allah secondo il credo musulmano e al mattino ripuliscono dai rifiuti gli scogli e le aiuole.

 

In stazione invece la situazione è più fluida. I bagni chimici, aggiunti dall’amministrazione comunale insieme a quelli sempre aperti delle ferrovie, e l’apertura di un corridoio interno permette un riparo dalle intemperie. Mamme e bambini, adulti e giovani, guardano smarriti per cercare di capire ciò che sta succedendo attorno. Intanto le varie associazioni e i privati cittadini forniscono cibo e acqua, vestiti di ricambio e giocattoli per i bimbi che giocano si, ma con la tristezza addosso.

 

Lucia è una mamma di 34 anni che dall’inizio dell’emergenza non abbandona i profughi un minuto. Ci racconta: «Ho lasciato a gennaio un lavoro part time come analista finanziario a Monte Carlo per seguire il sogno di fare l'artista. Attraverso I miei progetti artistici affronto anche il tema dei diritti fondamentali dell'uomo, in particolare l'insussistenza dei confini politici. A spingermi a questa tematica sono state le mie origini: i miei nonni erano immigrati calabresi in Liguria, mio padre un marinaio». Nata cresciuta in terra di confine, ha girato il mondo come hostess per poi fermarsi e fare la frontaliera. Negli ultimi dieci anni infatti, ha preso il treno ogni giorno per andare a Monaco a lavorare, «ho visto altri passeggeri come me ma africani clandestini, tentare di attraversare la frontiera e venire rispediti in Italia dalla gendarmeria francese che saliva a fare la ronda sul treno e li ricacciava giù a malo modo. Queste scene mi sono rimaste sullo stomaco. Cosi quando mi sono licenziata ho deciso di dedicare del tempo anche a loro». 

 

Rimasta in Italia a tempo pieno si è presentata in un centro d'accoglienza locale che ospita 40 immigrati regolarmente riconosciuti come rifugiati politici e ha proposto loro di partecipare ad un flash mob, un pretesto per dare un'occasione ai cittadini di incontrare i ragazzi rifugiati, dimostrare solidarietà, conoscerli e fare amicizia. Durante il flash mob un trombettista suona “Il silenzio” fuori ordinanza e poi si osservano alcuni minuti di raccoglimento in memoria delle tragedie che avvengono nel Mediterraneo e per ricordare che prima di ogni altra cosa siamo tutti esseri umani. 

 

«Da lì, – continua Lucia -, ho continuato a frequentare i ragazzi del centro e un giorno ho chiesto loro di stilare una lista con le cose che sanno fare e con le cose che vorrebbero imparare a fare. E scopro che in quella lista c’è scritto contadino, escavatorista, piastrellista. Ho trovato chi gli insegna, organizzo e traduco. Tutto questo è iniziato ad aprile. Nessuno di noi fino alla scorsa settimana avrebbe mai immaginato che Ventimiglia potesse essere il teatro di un'emergenza umanitaria simile».

 

I ragazzi del centro d'accoglienza sono tutti i giorni alla stazione insieme ai profughi che arrivano, per dare una mano ai volontari della Croce Rossa a fare da interpreti, a dare speranza, a dare una mano. Lucia si occupa di loro, di chi arriva. Qualcuno ha voluto essere filmato affinché si potessero diffondere le loro storie sul web. «Abbiamo contattato un legale esperto di diritto internazionale perché ci aiuti a fare una sintesi del trattato di Dublino, di Shenghen e di Ginevra per poi tradurre tutto in arabo, inglese e francese e informare i profughi che arrivano in stazione. Perché loro sono ben istruiti, molto più ben educati di noi, parlano tutti benissimo l'inglese o francese».

 

L'alta sera in stazione alcuni ragazzi e signori deicentri sociali sono arrivati e hanno formato un cerchio, invitando i profughi ad ascoltare. C'era un medico italo- arabo che traduceva. L'obiettivo era conoscere meglio le loro esigenze per organizzarsi di conseguenza. Ad un certo punto un profugo etiope ha preso la parola a nome di tutti: « Qui a Ventimiglia c'è tutta l'Africa,  arriviamo da tante nazioni diverse. Siamo arrivati in Italia senza niente e voi ci state dando tutto, da mangiare da bere, ci avete vestiti. Noi tutti vi diciamo grazie! Vi chiediamo scusa se l'esasperazione ha portato alcuni di noi ad essere maleducati e se la nostra presenza nella stazione vi ha creato disagi». E Lucia conclude: «Ci sono molte altre storie che vorrei raccontare, perché è un privilegio ascoltarle e conoscere la loro sofferenza». 

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