Loving Vincent
Con affetto, Vincent. È la chiusa delle lettere, oltre un centinaio, indirizzate al fratello Theo. Un carteggio intenso e commovente, la più diretta testimonianza sull’uomo e sull’artista Vincent Van Gogh. “Non possiamo che parlare con i nostri dipinti”, annotava nell’ultimo suo messaggio, mai recapitato al destinatario. È a partire da questa confessione che si dipana la vicenda narrata in Loving Vincent, un sorprendente esperimento creativo che miscela arte, tecnologia e pittura.
Scritto e diretto da Dorota Kobiela e Hugh Welchman, vincitore del premio del pubblico al Festival d’Annecy, è il primo lungometraggio realizzato animando 65mile tele dipinte a olio, a colori e in bianco e nero, nello stile di Van Gogh. Un lavoro paziente e certosino, svolto con passione e grande competenza da un esercito di giovani artisti, a partire da capolavori come “Notte stellata”, “Campo di grano con voli di corvi”, o dai celebri ritratti come la “Ragazza in bianco” o il “Dott. Gachet”.
Con in mano l’ultima lettera di Van Gogh, ricevuta dal postino Joseph Roulin, suo padre, affinché sia recapitata a Theo, Armand Roulin parte recalcitrante per Parigi. È passato un anno dalla misteriosa morte di Vincent e ancora non si sono placati i commenti e i giudizi malevoli sull’artista strambo e forse folle, che si era perfino tagliato un orecchio ed era stato internato in manicomio. A Parigi, di Theo Van Gogh non c’è più traccia e la ricerca conduce a Père Tanguy, commerciante di colori noto a tutti gli artisti, quindi nel piccolo villaggio di Auvers-sur-Oise, soggiorno di Vincent nelle sue ultime settimane di vita. Qui il giovane conosce la graziosa proprietaria della locanda, il Dott. Gachet, medico e testimone diretto della morte di Van Gogh, la figlia del dottore e il barcaiolo. Da ognuno ricava sofferte e contrastanti rivelazioni sulla fine cruenta di Vincent, causata da un proiettile all’addome, archiviata forse troppo frettolosamente come un suicidio, ma con molti, troppi, lati oscuri. Perché la verità è caleidoscopica, dipende dai punti di vista e dalle storie che si intrecciano e dipanano. Come i colori, brillanti o scuri, che impastano di dense pennellate le tele dell’artista.
Dopo il grande successo della mostra multimediale “Van Gogh alive – the experience” (con tappe in tutto il mondo), i dipinti di uno dei più grandi maestri del XIX secolo tornano a muoversi, ad avvolgere lo spettatore nello spazio e nel tempo, con fluidità e ritmo, sempre vibranti e mobili anche nel ritrarre figure ferme. Peccato che il tempo sia stato poco per accostarsi alla pellicola. Con affetto.