Lourdes

La regista austriaca Jessica Hausner presenta a Venezia un film dal titolo emblematico. Un'inchiesta sul dolore, sul confine tra malattia e miracolo, che non trova una risposta. Semplicemente osserva, e fa pensare.

La Repubblica l’ha definito un film anticlericale. E temo che questa definizione gli si appiccichi addosso, falsandone non poco la comprensione. L’austriaca Jessica Hausner racconta di Christine, su una sedia a rotelle, che più per uscire dalla routine che per fede viva, va a Lourdes. L’occhio della regista è attento alle vicende del popolo di ammalati, del turismo religioso con i suoi aspetti sinceri ed anche superficiali (il prete-teologo, la ragazzina che fa la corte al poliziotto…), la ripetitività dei gesti sacri. Nonostante tutto, Christine guarisce, suscita ammirazione ma anche invidia: perché a lei e non ad altri? E poi questa guarigione durerà? Dov’è il confine tra miracolo e alternarsi della malattia? L’occhio della regista osserva e lascia un finale aperto. Ma non è cinico né antireligioso.

Guarda un mondo che tutto sommato le è estraneo, ma senza durezza. Il film soprattutto parla del problema di questo Dio che guarisce chi vuole, solo alcuni, ed altri no, almeno nel corpo, e questa umanità che cerca una soluzione al problema del dolore.

Il nocciolo del film è infatti una inchiesta sul dolore, a cui, come un moderno Giobbe, la regista non trova riposte. Ben recitato, diretto con cura ai dettagli e alle espressioni dei volti, ha un andamento teatrale, che però non stanca. Fa pensare.

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