Lourdes. È miracolo?
Esce oggi, 11 febbraio, il film della viennese Jessica Hausner. Doloroso e umano.
Ha quasi vinto a Venezia, nel 2009. Ed è piaciuto a tutti. Ha vinto il Premio “La Navicella” e il Premio Signis di marca cristiana, e il Premio Brian dell’Unione atei e agnostici razionalisti. La Hausner, 38 anni, si professa non credente. Non c’è dunque da aspettarsi un film “miracolistico” o agiografico.
La storia è semplice. Christine, immobilizzata su una sedia a rotelle, è venuta a Lourdes. Più che per fede – la sua, di fede, è incerta – per “uscire di casa” e vedere un po’ di mondo. Il pezzo di mondo, quello del pellegrinaggio organizzato, è in realtà piuttosto rigido: preghiere, visite alla grotta, gite, sotto l’occhio vigile delle dame e dei barellieri dell’Ordine di Malta. Tutto in ambienti per lo più chiusi.
La regista insiste, con un rigore quasi glaciale, nello scolpire i “personaggi”: dalla tipologia dei malati – la donna diffidente, quella piena di fede, la madre che invoca il miracolo per la figlia – al prete, guida spirituale il cui compito rischia la routine, ai barellieri che flirtano con le ragazze, all’ufficiale scettico. Insomma, il mondo com’è realmente, anche nella “città del miracolo”. Il quale poi avviene, proprio per l’“incerta” Christine: di notte, silenziosamente, si sente spinta ad alzarsi. Va allo specchio: si trova guarita. Il mondo dei malati e degli assistenti si concentra intorno a lei. Stupiti o gelosi o scettici, più che felici.
La regista racconta con sobrietà: l’amarezza della madre la cui figlia non è guarita, lo strazio di Cécile, la dama capogruppo, che crolla a terra distrutta dal dolore (o dal mistero di cui non riesce a farsene una ragione?). Nella città nuvolosa, dopo il “miracolo” la routine: visite mediche, foto ricordo. Ma Christine vuole amare, vivere, gioire danzando. Il miracolo è vero o passeggero?
La conclusione con la giovane che si risiede in carrozzella è un pugno nello stomaco.
La regista ci lascia nel dubbio. Lourdes resta così non un film sulla fede, ma sui sentimenti più misteriosi e ambigui nell’uomo e nella vita. È il senso del dolore che non trova, per la regista, risposta. Per questo è così umano. E moderno.