Lourdes anima e corpo

Che odore ha Lourdes? Un’esperienza travolgente, percepita con l’intero essere.
Lourdes
Sono nella toilette del treno che rientra in Svizzera dopo l’annuale pellegrinaggio diocesano e cerco di mantenere l’equilibrio, insidiato dall’oscillare del convoglio. Sto accompagnando una donna, bassa di statura, d’età incerta; quando parla, però, non dimostra più di quattro o cinque anni. Saranno le sei di mattina: è da due ore che sono in piedi e ancora non ho fatto colazione.

 

L’odore che riempie il bagno mi prende allo stomaco; spero di non crollare. Il pensiero mi assale all’improvviso: è questo l’odore di Lourdes? Ma non ho tempo per riflessioni filosofiche, il treno continua la sua corsa, e non vorrei che la mia piccola paziente perdesse l’equilibrio e si facesse male.

 

Sì, forse è questo l’odore di Lourdes: non l’incenso che si alza durante le spettacolari funzioni religiose dei santuari, non il profumo delle miriadi di candele accese dai pellegrini di tutto il mondo o quello delle rose che i fedeli depongono all’arrivo sotto l’eterea statua della Madonna Incoronata, ma l’odore infelice e nauseabondo di un wc, un odore accettato come un sacrificio in nome di un servizio, di una promessa.

 

Segno visibile di questo servizio è la divisa da infermiera: blu, con un grembiule bianco e una cuffietta che in qualunque altro posto mi sembrerebbe ridicola, mentre in questi giorni, oramai, mi ci sono affezionata. È la mia prima visita a Lourdes e l’idea di un abito così particolare mi aveva lasciato perplessa. Ma qui siamo in tanti nella stessa situazione, donne e uomini, un nutrito gruppo di tutte le età che accompagna i pellegrini malati della diocesi; e ogni pellegrinaggio ha la sua divisa, utile per riconoscersi all’interno di una folla che raggiunge migliaia di unità. In effetti è impressionante vedere così tante persone mosse dallo stesso animo, che procedono all’unisono nella straordinaria coreografia della serale processione aux flambeaux cantando le lodi della Vergine e recitando il rosario in molte lingue.

 

Un’immersione nella fede pura e spensierata delle origini, quella senza preoccupazioni, quella presa dalla mamma insieme al latte materno e gustata in pienezza. Le preghiere e i canti mi aiutano a entrare in questa dimensione così estranea al mio quotidiano di sforzi e cadute sulla strada della coerenza, lasciandomi dietro tutto il resto. Chissà se anche i malati che accompagniamo sulle loro carrozzelle sentono il distacco da una pesante esistenza di fatiche e riescono a godersi la serata, respirando liberi in quest’aria fresca e costellata di lucine? Avvolta dai suoni celestiali, mi lascio andare a questa fede senza pensieri, che nulla ostacola.

 

I suoni, gli odori, ma non solo. Dicono che quella cristiana è una religione dei cinque sensi, e mai come a Lourdes il ruolo del corpo è venuto così tanto in risalto ai miei occhi. Un corpo che vuole vivere da capo a piedi l’esperienza di fede offerta dal santuario. Penso alla signora che, il primo giorno, ho condotto a visitare la grotta di Massabielle sulla voiture, il tipico risciò blu del santuario, così scomodo da manovrare: mentre il responsabile della sicurezza ci invitava, gentile ma fermo, a proseguire speditamente, lei voleva toccare quelle pareti lisciate da migliaia di carezze, mi sussurrava: “Portami più vicino!”. Non ho fatto in tempo a elencare alla Signora i nomi di tutte le persone che, alla partenza, mi hanno chiesto una preghiera; sono riuscita soltanto a dirmi: qui la Madonna è apparsa, qui ha camminato…

 

Cosa vorrà dire? Non riesco a immaginarmelo concretamente, ma la cosa mi provoca una strana sensazione, un misto di gioia e timore. Qui Bernadette, durante una delle prime apparizioni, ha lanciato alla donna ancora sconosciuta dell’acqua santa, e la Vergine ha riso. Come dev’essere veder ridere la Madonna? Mi sembra un’immagine degna del Paradiso.

 

Insieme alla roccia, l’acqua è un altro simbolo fondamentale di Lourdes. Mi accorgo che non ho mai capito il senso di quelle boccettine di varie forme che da sempre girano per casa, che ho sempre considerato con rispetto, ma evitando con cautela una vera devozione. Quando ho letto la frase di Bernadette, “Quest’acqua non ha nessun valore senza la fede”, anche questo segno ha recuperato il suo posto e il suo senso profondo nell’economia divina manifestatasi nella vicenda della Santa. Conscia del suo monito, bevevo e pregavo a larghi sorsi, mentre mi scendeva dentro, insieme alla frescura dell’acqua di sorgente, una rinnovata fiducia.

 

Con il tempo ho capito che anch’io, qui a Lourdes, sono venuta da pellegrina, non solo da volontaria – non tutte le malattie deformano il corpo o richiedono stampelle. Mi trovo nella stessa situazione delle persone che accudisco e accompagno quando, affrontando gli inevitabili dolori di ogni giorno, sento di non farcela più e mi ribello, mi dispero, mi affatico e combatto, ma a stento, contro il pensiero di arrendermi e piantare tutto quanto. A Lourdes ho resistito per alcuni giorni, gettandomi a capofitto nel compito intenso e gratificante della cura e dell’attenzione al prossimo; ma l’ultima notte, sostando con un gruppetto di giovani di fronte alle centinaia di ceri accesi l’uno accanto all’altro, sono crollata.

 

Perché tutta questa sofferenza, psichica, fisica, morale, intellettuale, perché? Perché manca un senso, perché in questa vita non c’è speranza di felicità completa? Ogni candela una preghiera, una supplica, un’ardente richiesta; quanti dolori hanno portato ad accenderle, quanta disperazione e quanta speranza! Il vento fa ondeggiare le fiamme, creando mirabili sculture di cera; insieme al calore, sembra che mi soffi in faccia le grida e lo sconforto di migliaia di persone, e mi lascio andare al pianto. È una sensazione particolare: da un lato sento che nessuno può consolarmi, dall’altro mi rendo conto con chiarezza che il dolore, questo mistero, mi accomuna con tutto il genere umano, anzi è una delle poche esperienze universalmente condivise.

 

Vorrei parlare di una fratellanza universale nel dolore; in questa appartenenza trovo una pienezza che mi sconvolge, nonostante l’abissale sconforto del momento. Quale il senso? Mi torna alla mente il Leopardi di Plotino: “Viviamo, Porfirio mio, e confortiamoci insieme”. Che strano: dal dolore emerge l’impulso alla vita. È l’ultima tappa del mio pellegrinaggio, il terzo simbolo di Lourdes; la luce della fiamma, che mi rivela qualcosa del dolore.

 

Forse è la consapevolezza delle sofferenze che anch’io porto dentro a non farmi sentire, per così dire, da meno delle persone malate che seguo, a farmi rivalutare il dolore fisico e a collocarlo in una prospettiva nuova, che non lascia spazio alla ribellione. Le differenze – tra sani e malati, tra giovani e anziani, tra laureati e incolti… – ci sono, ma non mi pesano più e non mi fanno sentire in colpa per i doni che ho ricevuto senza meritarli. Senza scrupoli, dunque, mi sento il cuore colmo di gratitudine quando, rientrata dopo le venti ore di treno, cerco di togliermi l’odore del vagone cuccette con una lunga doccia: posso farla in piedi, da sola, e per tutto il tempo che voglio.

 

Rifletto al fatto che ci vorrà del tempo, forse mesi o anni, per capire cosa è successo in questi pochi giorni, per ridurre in parole un’esperienza travolgente in cui tutto era evidente, era compreso e percepito con l’intero essere, anima mente e corpo. A Lourdes non cercavo nulla, non mi aspettavo nulla; tanto più ora gusto la piacevole sensazione, indefinita ma avvertita chiaramente, di aver trovato, insieme alla certezza che vi ritornerò.

 
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