L’otto marzo di Sally
Vico del Duca è in pieno centro storico, è periferia esistenziale a tutti gli effetti, qui le “graziose”, come le chiamava don Andrea Gallo il fondatore della Comunità di San Benedetto al Porto, sbucano sorridenti dalle porte di ogni alloggio. In “Via del Campo c'è una graziosa, gli occhi grandi color di foglia, tutta la notte sta sulla soglia, vende a tutti la stessa rosa. (In)Via del Campo c'è una bambina, con le labbra color rugiada, gli occhi grigi come la strada, nascon fiori dove cammina”. Sono le prime due strofe di “Via del Campo”, la canzone di Fabrizio De Andrè, che questi angoli li ha vissuti, amati e percorsi in ogni suo anfratto e ai quali ha dedicati testi meravigliosi nelle sue canzoni.
Vico del Duca è una traversa di Via del Campo, dove le case sono abitate in buona parte da queste ragazze, alcune davvero troppo giovani. Chi cerca sesso a pagamento percorre questoquadrilatero, qui trova, anche droga, e trasgressione a 360 gradi, dove i palazzi sono alti da cinque a sette piani, e i raggi del sole in alcune parti non toccano il suolo, nemmeno nei giorni più lunghi dell’anno, e le famiglie degli extracomunitari sono composte da un numero di persone mai uguale, da un giorno all’altro. Di anziani qui se ne vedono sempre meno, pochi i genovesi, rimasti fedeli alla casa dove sono nati, e tanti single, in mono locali adattati, o ridotti tali da armadi, pareti in carton gesso e altri intrallazzati di ogni tipo. Qualche studente universitario che arriva qui, da qualche angolo sperduto dell’Europa, per studiare ma senza un euro sulla pelle. In questo quadrilatero, il più gramo di questo pur sempre gioiello di città di mare, con angoli da favola, facciate di palazzi veri capolavori. I vicoletti raccontano la loro storia, ognuna diversa dall’altra e ognuna identica all’altra, storie di prostituzione, di mercato della droga, dei furtarelli per principianti.
E’ qui l’iniziazione di tutte queste “attività”, tutt’altro che legali, da tutti condannate, e silenziosamente da tutti assolte. In questa vergogna, abitazioni che chiamarle tali è un insulto al minimo buon gusto, dove a volte manco l’acqua e la corrente elettrica sono allacciate, i proprietari si fanno pagare fior di quattrini, e senza troppa presunzione si può dire che chi paga, non si sogna minimamente di ottenere un pezzo di carta che possa chiamarsi ricevuta. Pena lo sfratto immediato. Sally abita e “lavora”, in un “basso”: così vengono chiamati questi locali seminterrati. Scesi due, tre scalini, dal livello del carruggio e ti trovi in un ambiente senza finestre, senz’acqua, senza luce. Umido, buio e triste. Lì un tempo dormivano coloro che erano di passaggio da quelle parti.
La città di mare offriva e offre ancora adesso mille opportunità, per chi ha soldi e per chi non ne ha. A differenza che ora Sally per quel tugurio puzzolente e illuminato da tre ceri, “avuti” dice lei dal parroco della chiesa vicina, quattrocento euro al mese. Si, quattrocento euro per un basso composto di una stanza, senza corrente elettrica, un fornello con una bombola di gas e una lavandino. Ma l’acqua lì non ci arriva. Lei la prende con il secchio dalla fontana sulla piazzetta. Il bagno è quello del bar poco più in avanti. Poi c’è un letto matrimoniale. Tutto puzza tremendamente di umano che l’umido rende ancora più carico. Qui Sally esercita il mestiere più vecchio del mondo. Sulla strada s’affacciano altre sei amiche, posizionate in altrettanti bassi, arrivate tre dal sud del mondo, mentre le altre invece venivano dall’est Europeo. La loro attività inizia a metà mattinata e continua fin quando in strada non c’è davvero più nessuno.
Dalla Nigeria Sally è giunta in Italia con un grande sogno, quello che gli aveva promesso chi l’aveva convinta a lasciare la sua famiglia e il suo paese. Diventare hostess e poter girare il mondo, ma soprattutto mandare denaro ai suoi fratellini: cinque tutti più giovani di lei. Ognuno più bello dell’altro ricordo con quanta gioia mi mostra la foto dei suoi fratelli. Ma la hostess, Sally non lo è stata nemmeno per un giorno. Appena arrivata nel nostro paese le è stato ritirato il passaporto e subito è stata messa a lavorare. Un altro mestiere, mai prima immaginato e nemmeno cercato. All’inizio umiliante, vergognoso, con il rimorso di non aver seguito i consigli dei genitori. Così coperta di sconforto quello che ti distrugge completamente dentro, lascia passare alcuni mesi senza sentire la famiglia in Africa. Poi, vinta la vergogna, dopo tanto silenzio, le prime spedizioni di qualche centinaio di euro.
E’ denaro “schifoso”, ma i miei non sanno e allora chiudo gli occhi, abbasso la testa e lavoro, perché là questi pochi euro valgono tanto. Sally è in una foto, appiccicata all’interno della porta d’ingresso. Bella, insieme ai genitori, ai fratellini, ai nonni e agli zii in casa sua, nel suo paese. Ma la vita là promette poco, così parte per l’Italia, vuole aiutare i suoi. Si capisce l’affetto che la lega e il bene che vuole ad ognuno di casa sua. E il dolore per aver fatto di testa propria non ascoltando i consigli di papà che la supplicava di non partire. Fuma una sigaretta dopo l’altra, mentre mi parla del suo passato e mi racconta i suoi sogni. Beve di fretta un boccale di birra, lo manda giù quasi a voler soffocare il presente che racconta è fatto di amarezza e delusione. Delusione che col passare degli anni, stava soffocando sempre più in tante sigarette e altrettante bottiglie di alcol. Così, sempre più di frequente le sue amiche la trovavo al mattino già ubriaca.
Da pochi giorni ha avuto lo sfratto. Ora dorme in stazione, non ce la faccio a vivere così. Sono malata, ho contratto il virus dell’HIV, e sto davvero male, sto molto male. E sono molto arrabbiata. E’ meglio morire. In quei carruggi dove i palazzi sono alti da cinque a sette piani, e i raggi del sole non arrivano a ravvivare il colore dei muri, e dove le ombre s’allungano deformi sull’asfalto. Quel desiderio di dare sollievo alla sua famiglia facendo arrivare qualche euro per la loro sopravvivenza, il desiderio di dare un po’ di benessere, di felicità si sta spegnendo nel suo cuore. È troppo giovane Sally per lasciar spegnere i suoi desideri, ma il destino con lei, come per tante delle sue compagne ha già scritto una sentenza. Sally è già morta da un po’ nel suo animo, ora aspetta solo che il suo corpo lo segua.
In “Via del Campo ci va un illuso, a pregarla di maritare, a vederla salir le scale, fino a quando il balcone ha chiuso”. E di illusi, per dirla con De Andrè da qui ne transitano tanti, e le “graziose” ricevono ad ogni ora del giorno e della notte dispensando piacere a morsi. Lo spettacolo è triste e la scena è animata da uomini di ogni età, cominciando dai ragazzi poco più che ventenni, fino agli anziani in stampelle. Un mercato vero e proprio che si gioca sulla vendita del corpo umano. Che ha per oggetto persone, donne come Sally, arrivate qui per fare le impiegate, le guide turistiche, le hostess e finite a consumare le loro giornate in questi tuguri bui e maleodoranti. A dare amore a prezzo scontato.