L’Ottava di Bruckner
Ascoltando la monumentale Sinfonia n. 8 in do minore di Anton Bruckner all’Accademia romana di Santa Cecilia si ha la sensazione netta di trovarsi in un mondo in ricerca. Che guarda il passato, tenta di riassumerlo e punta ad un futuro di cui non conosce ancora i lineamenti. Così come ci succede oggi. Prima di Mahler, il compositore austriaco, nel lavoro presentato al pubblico nel 1892, medita sulla storia e sull’uomo. All’orizzonte c’è la Nona di Beethoven ed il confronto rimane inevitabile. Il primo tempo Allegro moderato, è quasi un ”rovesciamento” dell’opera beethoveniana. Se Ludwig presenta l’aurora boreale di un nuovo cosmo, Bruckner evidenzia un malessere, una tristezza oscura che è drammaticamente serpeggiante nelle variazioni del lungo movimento. Così cupo. È una morte in una nebbia dove non c’è sicurezza. Lo Scherzo non ha certo la ritmicità immensa di Beethoven ma è almeno più disteso. L’Adagio – Lento solenne, non trascinato – non presenta la sublime ascensione beethoveniana all’infinito con chiarezza luminosa, ma è una lotta per arrivare a questa luce, i cui sprazzi arpe legni e violini colgono facendo dopo tanti tumulti tacere il cuore e riposare in una vera estasi. È dopo questo momento contemplativo che il Finale può scatenarsi con le tube wagneriane a chiudere con una solennità grandiosa e incisiva la possente meditazione di Bruckner. Il quale forse non si è accorto di offrire, prima e magari più di Mahler, la sintesi di una civiltà, sperando in una nuova forma di esistenza e quindi di bellezza.
Poco compreso dai contemporanei, Bruckner è artista di prima grandezza. Antonio Pappano lo svela con una accuratezza quasi spasmodica e l’orchestra nelle singole sezioni risponde graduando i colori, i tempi le sfumature in quel flusso ininterrotto, di wagneriana memoria, che il direttore sa incanalare nell’equilibrio di un dosaggio di sonorità, timbri e movimenti che rispettano l’affresco meditativo del musicista.
L’Ottava va ascoltata dunque con piena partecipazione, anche se può esser faticoso concentrarsi per un’ora e mezzo senza perdere un istante. Ma la gioia è assicurata. Pappano e i suoi musicisti, un corpo solo, scavano e scavano, trovando la pietra preziosa: lo sguardo profondo, consapevole dei drammi umani, ma anche pieno di una fede intramontabile di Anton Bruckner. Silenzio palpabile del pubblico durante il concerto, esplosione alla fine.