Lotta alla povertà. Cercasi seria volontà politica

Alla vigilia della discussione della legge di stabilità, l’“Alleanza contro la povertà in Italia” presenta la proposta  del “reddito di inclusione sociale”.  Intervista al presidente delle Acli Gianni Bottalico, che invita a vigilare sugli effetti del Jobs act e sulle politiche sociali
povertà

La proposta di una iniziativa condivisa contro la povertà assoluta in Italia è nata per volere delleAcli (Associazioni cristiane dei lavoratori italiani) che, con il presidenteGianni Bottalico, manitene un dialogo aperto con le istituzioni. Ma le Acli, assieme alla Caritas, hanno chiesto ad altre realtà dell’associazionismo di sancire una vera e propria “Alleanza contro la povertà” entrando nel merito del Reddito d’inclusione sociale elaborato dal gruppo di esperti coordinati dal professorCristiano Gori dell’Università cattolica di Milano.

La pluralità dei soggetti promotori assieme alle  Acli, dai sindacati confederali (Cgil, Cisl e Uil)  all’associazione nazionale di comuni d’Italia (Anci) passando da Umanità Nuova del Movimento dei Focolari al Forum del Terzo settore e molti altri ancora, ha raggiunto un peso tale che anche il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha incontrato, lo scorso 23 giugno, una folta rappresentanza degli aderenti dell’ “Alleanza”, esprimendo un giudizio positivo sulla proposta che, come ha spiegato Bottalico, nasce dal “patto di cittadinanza” in forza del quale «chi è in povertà assoluta ha diritto al sostegno pubblico e il dovere  d’impegnarsi a compiere ogni azione utile a superare tale situazione».

Con l’ex ministro del lavoro,Enrico Giovannini, già presidente dell’Istat ed economista dell’Ocse, la strada sembrava in discesa perché il provvedimento era già entrato nell’agenda di una commissione tecnica coordinata dal sottosegretario Cecilia Guerra con la presenza, tra i consulenti, di Cristiano Gori. Non si comprende, al momento, l’orientamento effettivo del governo Renzi anche perché, come sempre, il discorso si incaglia sulla carenza di risorse necessarie ad un piano non estemporaneo contro la povertà. Per il 14 ottobre mattina la versione definitiva della proposta del Reis (reddito di inclusione sociale) sarà consegnata al presidente del consiglio Matteo Renzi nel palazzo delCnel (Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro). Un luogo simbolo perchè quest'organo previsto dalla Costituzione per garantire la partecipazione delle forze produttive alla scelte del governo non è mai decollato ed è ora in fase di chiusura. Abbiamo intervista il presidente delle Acli, Gianni Bottalico, tra gli ideatori di questa proposta.

Come Alleanza  portate avanti una proposta che non sembra essere pienamente compresa dal governo. Come pensate di intervenire? A che livello si trova il dialogo con le attuali forze politiche presenti in Parlamento?

«Intanto vediamo cosa verrà fuori dalla legge di stabilità e quale sarà il testo finale che sarà approvato dal parlamento. L'Alleanza dialoga con tutti. È difficile trovare qualcuno che non si renda conto che a fronte di una povertà che si è raddoppiata occorra intervenire con significative politiche sociali. Diciamo che c'è un'ortodossia tecnocratica che forse impedisce appieno l'emergere della sensibilità sociale nei partiti e in parlamento. Questi sono anche i frutti di un modello ultra-verticistico di cooptazione della classe dirigente. L'esser nominati, anziché eletti, limita di molto l'assenza di vincolo di mandato dei parlamentari».

Come Associazioni dei lavoratori, cosa pensate delle scelte da compiere con il Jobs act? Flessibilità e sicurezza sono temi conciliabili?

«Questo è il grosso rischio che anche le Acli paventano. Vogliamo vedere prima a quanto ammontano le risorse per le politiche attive del lavoro e per il welfare, perché altrimenti di certo c'è solo l'estensione della flessibilità. Questa è anche la condizione che poniamo per una serena discussione sull'art.18. Le due cose devono procedere insieme».

Su quali capitoli di spesa bisogna intervenire per introdurre il Reddito di inclusione sociale (Reis)?

«Ci abbiamo provato e lo abbiamo fatto, ma via via ci siamo resi conto che è prima di tutto un discorso di volontà politica. Decidere di spendere sette miliardi l'anno per la lotta alla povertà assoluta, oltre agli enormi benefici per la ripresa dei consumi – perché le risorse dei poveri vanno in gran parte in spese di prima necessità – è una cosa assolutamente alla portata del Paese. Si rischia di sforare i parametri europei: ma a quale criterio oggettivo essi rispondono? Perché, ad esempio, il rapporto deficit-pil non deve superare il 3 per cento piuttosto che il 5 o l'8? Bisogna prima convenire sul fatto che la lotta alla povertà rappresenta una grossa priorità, poi si può fare la discussione, che non ci vede impreparati, su dove reperire le risorse senza, ovviamente, in alcun modo aumentare la pressione fiscale».

Come funzionerebbe nel Reis la strategia di inclusione a partire dal lavoro?

«Il progetto del Reis non segue una logica assistenzialista: punta piuttosto a rimettere in gioco chi è caduto nell'abisso della povertà. Con realismo, perché purtroppo non tutti i soggetti sono nelle condizioni di potersi riqualificare e reinserire, ma per quelli che ne hanno le capacità si prevedono percorsi di formazione, di aggiornamento, di accompagnamento al lavoro, pena la perdita del sussidio».

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