L’Otello siciliano di Luigi Lo Cascio
Le tragedie di Shakespeare, lo sappiamo e ne abbiamo viste tante, si prestano da sempre a infinite riletture e variazioni. Ma un Otello che parla siciliano non si era mai sentito. È quanto ha fatto Luigi Lo Cascio dando prova di quanto un grande classico possa essere approfondito, manipolato, rielaborato a seconda della riflessione e della capacità di scavarvi di chi lo affronta. Seppur restringendo il campo d’azione, oltre ad esserci, nella sostanza, tutta intera la vicenda del Moro di Venezia, di Iago e di Desdemona, c’è soprattutto un’inquietudine tutta moderna che indaga l’uomo, l’origine dell’odio, i moventi di quell'amore cieco che arriva ad eliminare l’oggetto amato per troppo amore.
L’affondo, intellettuale di Lo Cascio è dentro i meccanismi misteriosi e oscuri della mente maschile incapace di vivere il sentimento senza quelle sicurezze create dall’uomo stesso secondo le sue proprie necessità. L’inizio della storia parte dalla fine, dalla tragedia già compiuta, con un soldato-narratore (Giovanni Calcagno) che introduce – e poi racconta, a tratti, «per il riscatto della memoria» -, la vicenda del suo amato generale perché non venga tramandata in maniera falsata. Testimone degli avvenimenti ai bordi della scena o talvolta attraversandola, sta lì a dirci i fatti, a raccordarli, ad a chiedersi come sia stato possibile che «l’onesto Iago» sia potuto giungere a tanto odio. La scena ce lo consegna fatto prigioniero che percorre la platea legato ad una corda, mentre sciorina pensieri personali sulla vendetta, sulle torture, sulla malevolenza, sui supplizi e questo mentre scorrono animazioni di strumenti di tortura, di vermi, di dettagli inquietanti.
Un’altra sequenza animata, proiettata ad apertura di sipario, come bianco lenzuolo nella claustrofobica e buia cornice, raffigura l’emblematico fazzoletto della gelosia assassina, introducendoci così nella storia col racconto dialettale della madre di Otello che, udendone solo la voce, descrive il valore di quell’oggetto ricamato, tessuto, disegnato, che svolazza e passa di mano in mano e che diventa lettera di parole d’amore tra il condottiero e la nobile veneziana.
È aristocratica, Desdemona, oltre che nell’animo anche nella limpida pronuncia in italiano. Figura pura in un mondo contaminato dalla violenza dei sentimenti, ella coltiva la passione delle arti marziali per emulare e piacere all’amato (e Valentina Cenni è perfetta oltre che nel dare corpo e voce alla cristallina sposa, anche nella fisica pratica marziale con tanto di spada volteggiante e netta con cui fende l’aria). Alla confessione del suo sogno, coltivato fin da piccola, di diventare soldato, segue quella di Otello che racconta del giovane fratello morto nel deserto combattendo e del suo patimento: magnifiche imprese di guerra che fecero innamorare la giovane sposa. Qui Vincenzo Pirrotta sfodera la sua tipica tecnica del “cuntu” e di puparo per narrare gesta di battaglia alternate a sfumature d’amore virile. Ed è possente, oltre che nella statura, nel rendere il suo Otello vigoroso, tenero, infantile mentre cresce la gelosia, come tarlo e mostro dagli occhi verdi sulle insinuazioni dell’”amico Iago”. E questo mentre si proiettano le figure mostruose che assillano la sua mente contaminata dal sospetto del tradimento.
La claustrofobica scatola scenica s’illuminerà di bianco col lenzuolo del talamo steso sulla lunga scalinata che Otello e Desdemona saliranno per il compiersi dell’uxoricidio, con lei che le porge il coltello. Ma prima del gesto mortale c’è tempo per un’ulteriore svelamento raccontato dal soldato: il sogno di Otello di andare sulla luna aggrappato all’Ippogrifo. Lo Cascio, con una bella intuizione attinta al poema dell’Ariosto, identifica la follia di Orlando con quella di Otello, riprendendo l’episodio di Astolfo sulla luna.
Cadute le quinte del palcoscenico eccolo diventato folle, approdato sul pianeta alla ricerca dell’amata Desdemona, perché «le anime delle donne che ammazziamo sulla terra si ritrovano sulla luna», lì dove ci sono tutte le cose che si perdono in Terra. Vestito elegante e col fazzoletto finalmente rintracciato vuole costruire all’amata un altarino per farsi perdonare. Ad accompagnarlo in quel viaggio irreale è il fedele soldato che, infine, lo prende per mano per condurlo via, mentre di spalle si fermano ad ammirare le stelle.
“Otello” di Luigi Lo Cascio, scenografia, costumi e animazioni Nicola Console e Alice Mangano, musiche Andrea Rocca, luci Pasquale Mari, regia Luigi Lo Cascio. A Roma, teatro Quirino, dal 17 al 29 marzo. Produzione Teatro Stabile di Catania e E.R.T. Emilia Romagna Teatro Fondazione. In tournée.