Lost

La conclusione del telefilm Lost è stato un evento mediale unico nel suo genere.
Lost

La conclusione del telefilm Lost è stato un evento mediale unico nel suo genere. L’ultima puntata della serie americana è andata in onda contemporaneamente in molte parti del mondo il 24 maggio scorso, in una sorta di “mondovisione” che, per la prima volta, non ha avuto come oggetto un evento dal vivo, come una partita di calcio o una grande cerimonia, ma un popolarissimo telefilm, tra i più premiati degli ultimi tempi.

Lost, “perduti”, è andato in onda per sei stagioni sul canale televisivo a pagamento Fox e replicato in seguito sulla tv generalista: l’ultima serie partirà su Raidue, a fuochi ormai spenti, solo il 5 luglio prossimo.

Il racconto si basa sulla storia di 48 superstiti di un incidente aereo, strappati al mondo civile e costretti a sopravvivere su un’isola, solo apparentemente deserta. Se all’inizio la narrazione ha puntato sul mistero del luogo, lentamente quest’ultimo si è intrecciato con la vita dei personaggi: c’è quella presente, dove ognuno ha dovuto imparare a conoscere l’altro e a conviverci per non dover morire; c’è poi una vita passata che rivela, in ogni flashback proposto, segreti e caratteri dei protagonisti, destinati a incidere sullo svolgimento dei fatti, in un intreccio di vicende e colpi di scena legati anche alla presenza di entità misteriose sull’isola, che lasciano aperta la possibilità a qualsiasi evoluzione. A tutto questo si unisce l’elemento soprannaturale, fortemente voluto dagli autori per creare un’identificazione sottile dello spettatore con le vite raccontate, portandolo a porsi precise domande sul confine tra il bene e il male, sull’esistenza di un destino ineffabile o piuttosto di un piano tracciato dal Divino nella storia di ciascuno, del quale però non è ancora possibile conoscere ogni sfaccettatura.

È questa eterna lotta tra due estremi che in Lost si presenta come occasione di riflessione. Per ogni personaggio è l’attesa viva e fiduciosa di un bene futuro a creare i presupposti per rischiare e vivere al meglio certe imprese apparentemente senza speranza, che pure noi, senza stare su un’isola (quasi) deserta, dobbiamo affrontare ogni giorno.

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