L’Ossessione nordica

L'Europa del Nord, con i suoi paesaggi malinconici e la sua visione sofferta dell'esistenza, fa irruzione in Italia attraverso le opere di Böcklin, Klimt, Munch ed altri esposte alle Biennali veneziane dei primi anni del Novecento. E una schiera di artisti italiani ne trae ispirazione. A Palazzo Roverella a Rovigo una rassegna racconta la storia di questo incontro
Ossessione nordica

Il titolo della rassegna, aperta a Rovigo a Palazzo Roverella fino al 22 giugno (catalogo Marsilio, ricco e ben illustrato), è una formula del critico Vittorio Pica che la usò nel 1901 alla Biennale veneziana per definire icasticamente l’influenza che artisti come Böcklin, Klimt, Munch ed altri esercitavano sulla pittura italiana dell’epoca.

Un mondo, questo dell’Europa del Nord, affondato in una visione profonda e malinconica dell’esistenza, con timidi raggi di sole, come è del suo clima, e al contempo caratterizzato da un irrefrenabile amore per la vita. Quasi disperato, a giudicare dai lavori del norvegese Munch, oppure tendente all'onirico in Bocklin, nei suoi paesaggi visionari, o di una sensualità anche maligna in Franz von Stuck. Ma è un’arte di silenzi, soprattutto. Interminabili, di sorrisi timidi ("Martina" di Carl Larsson, 1904), di interni oscuri dove una donna è colta nel semibuio di spalle ("Interno con donna seduta" di Vilhelm Hammershoi, 1908).

Questo mondo cupo, però anche sfrenato, questa tristezza di fondo pur nei paesaggi infiniti e nelle scene di vita semplice o nelle favole mitologiche, alla quarta Biennale veneziana esplose grazie a una schiera di artisti nostrani che da lui presero ispirazione per tentare di dare una svolta all’accademismo italiano.

Se si guarda lo struggente ritratto "Le due bambine" di Felice Casorati (1912), due piccole bionde belle e già dolenti, se si osservano le scene sensuali di Ettore Tito, i paesaggi marini di un azzurro nordico di Umberto Maggioli, lo stupendo, incandescente e surreale "San Francesco nel deserto" di Gino Rossi (1914) – che già prevede inconsciamente bagliori di guerra –; le nature di prati e betulle di Teodoro Wolf-Ferrari (che ricorda certi luoghi di Klimt), ma anche le sue "Isole misteriose" che rimandano a Bocklin, e le rivisitazioni simbologiche di Mario de Maria (la sulfurea "Morte e guerra" del 1915-18), si potrà avere una  completa immagine di un ventennio del primo Novecento dove i freddi e celestiali paesaggi del Nord, le loro brume e i loro fantasmi selvaggi diventano fonti di ispirazione per la nostra arte.

Gli artisti italiani sono ossessionati dal mondo scandinavo e tedesco? In parte è vero. Ma la loro "traduzione" è sincera, e innerva nuova vita nel nostro freddo accademismo. Soprattutto questi pittori dimostrano di pre-sentire e pre-vedere con la loro idilliaca e furente malinconia il conflitto mondiale che distruggerà una civiltà.

Interessantissima rassegna, e da non perdere, in quest’anno in cui festeggiamo – si fa per dire, costò 600 mila morti in Italia – l’inizio della Prima guerra mondiale.

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