“Loser”, perdente
M’è capitato in questi giorni di riascoltare una vecchia canzone dei Beatles, I’m a loser, sono un perdente. Mi ha detto qualcosa al cuore. Per cui sono andato a cercare anche Loser di Beck, e poi l’omonima canzone di Gerry Garcia, vecchio leader dei Greateful Dead, e ancora Rod Stewart con Three time loser, tre volte perdente. E poi sono andato a rileggermi quel capolavoro d’arte (e di mistica dell’arte) che sono le lettere di Vincent Van Gogh al fratello Théo, un libro che chiunque abbia a che fare con l’estetica, anche uno scribacchino come il sottoscritto, deve leggere assolutamente. È il ritratto di un vero loser, un’icona di tutti i loser, di un perdente nato. Che ha vinto solo dopo morto. E poi ho scorso le biografie di altri loser che sono diventati poi vincenti e mi sono rivisto Joker, il perdente “cattivo”, debole e forte. L’ho fatto come attirato dalla calamita del coronavirus, che ci ha trasformati tutti in loser.
La società dello spettacolo, del successo, della visibilità, della mondanità, dei like, dell’occultamento della miseria, in questo momento sembra paradossalmente doversi inserire nella lista degli sconfitti di questa pandemia, ma solo in apparenza, perché sarà dura da morire, durissima, perché è una società, una cultura dell’effimero tarata per sfruttare anche le debolezze ai propri fini. Ecco allora che i casi più dolorosi provocati dal coronavirus diventano le storie di apertura di programmi televisivi glamour, ecco gli stilisti che si mettono a fabbricare mascherine griffate (da 50 euro, non da 50 centesimi!), ecco che le multinazionali per ridorare il loro blasone e preparare la ripartenza offrono qualche milione di dollari in beneficienza (briciole, nei loro portafogli), ecco che lo sport e lo spettacolo dei nababbi scommettono sulla riapertura e trovano sempre nuove forme di dare spettacolo. Non c’è da illudersi.
E tuttavia non si può far finta che nulla sia successo. Siamo tutti perdenti nella battaglia col Covid-19, piccolo e mutante guastafeste che ci ha trasformati tutti in loser. Se non altro perché ci ha privati di una certa dose delle nostre libertà, se non dei nostri guadagni, dello sviluppo delle nostre attività, della nostra capacità di muoversi. Se pensiamo ai 30 milioni di loser-disoccupati solo negli Stati Uniti c’è di che disperarsi. O del miliardo di uomini e donne che, secondo le stime dell’Organizzazione mondiale del lavoro, perderanno in tutto o in parte il loro lavoro. Forse nella storia dell’umanità mai tanta gente, contemporaneamente, avrà sofferto tanto: la crescita demografica fa sì che mai fossimo così tanti, insieme, sul pianeta Terra. Perdenti di lavoro, ma anche di affetti, ma anche di patrimoni umani, ma anche di convivenza sociale. Abbiamo dilapidato capitali immensi. Non è una fiction, è realtà. Anzi, REALTÀ, tutto maiuscole, indiscutibile. Siamo un po’ tutti minus habens.
Una parola, una sentenza della mia mistica preferita, Chiara Lubich, mi frulla nella testa dopo tanta immersione nel mondo dei loser: «Ogni perdita è un guadagno». Con altre parole l’hanno detto in tanti, da Einstein a Wittgenstein, e in questi giorni sui social corrono le loro frasi di incoraggiamento e di desiderio di rinascita, di ripartenza, come si dice ora. Evviva, tutte le energie debbono essere messe in moto. Ma qual è la particolarità, allora, della sentenza lubichiana? Sta, credo, in quel “ogni”: vi si legge “grande o piccola” (la perdita della libertà di circolare o della vita); si intuisce che dietro c’è il sentimento di impotenza di fronte al male, alla perdita che non si può evitare in nessun modo; ancora, vi si trova “la mia, la tua, la nostra”, la livella del barone De Curtis, l’uguaglianza anche marxiana; penso si possa capire quell’ogni anche come una determinazione temporale, oggi, ieri, domani, siamo “sempre” dei loser; e perché non leggervi pure l’universalità del dolore, e del dolore innocente? Ecco, il coronavirus ci dà la possibilità (che possiamo raccogliere o meno) di ritrovare la nostra innocenza, gran bene perduto. Loser, innocenti, anzi resi innocenti, tornati innocenti.