L’orologiaio
Il Signor Fermino era un omino basso e dalla faccia appuntita, occhi furbi nascosti dietro un paio di occhialoni rotondi. Andavo spesso a trovarlo nella sua bottega impolverata. Era come entrare in un mondo di meraviglie: pareti piene di orologi e sveglie di tutte le dimensioni, quadranti di vecchie pendole abbandonate, scaffali pieni di chincaglierie, molle e ingranaggi brulicanti come piccoli e simpatici lombrichi…
«Ciao, benvenuto», mi diceva sempre con un gran sorriso e porgendomi subito lo sgabello più alto del suo piccolo laboratorio. Io mi sedevo accanto a lui e ammiravo in religioso silenzio il suo lavoro certosino: era capace di passare delle ore dietro un minuscolo pezzo di metallo, rigirarlo, osservarlo, studiarlo fin nei minimi dettagli. «Anche la cosa più piccola è della grandissima importanza», mi diceva con aria di saggezza antica che sapeva di tempo quanto quei vecchi orologi.
Un giorno Fermino mi raccontò una storia: «Sai, mio piccolo amico, qual è il segreto del tempo?». La mia sfacciataggine di bambino mi portò a rispondere: «Io? Come faccio a saperlo? Sono solo un bambino io!». Fermino mi sorrise benevolmente allargando le rughe profonde del viso e incominciò: «Un giorno un uomo camminava sulla riva di un fiume e si chiedeva cosa fosse il tempo. Se lo chiedeva ogni giorno e ogni giorno ripeteva quella stessa passeggiata. Ogni giorno per tutti i giorni della sua vita, finché nell’ultimo giorno smise di chiedersi cos’era il tempo e decise di invitare un suo amico a passeggiare con lui. Camminarono insieme per ore, lungo la riva del fiume, lui gli parlava dei suoi interrogativi e del dubbio che lo aveva attanagliato per tutta la vita: non riuscire a capire cos’è il tempo. L’amico di sempre lo guardò e con un gran sorriso gli disse: “Io non so cosa sia il tempo, ma so che questo è tempo prezioso e questo per me conta più di ogni altra cosa”. I due allora si salutarono, il fiume li guardava immobile. Quella sera l’uomo si addormentò sereno, senza più aver voglia di capire cosa fosse il tempo. E proprio in quel momento il suo tempo era finito».
Fermino aveva terminato la sua storia. Inforcò gli occhiali e senza fare caso a me riprese il suo lavoro con l’ingranaggio di quel vecchio orologio. Guardai l’ora, era tardi. Quella sera me la ricordo ancora, era una sera di cinquant’anni fa e ora che scruto le mie mani rugose mi sembra ancora di sentire la voce di Fermino. Quella sera uscii dalla bottega con una strana sensazione, anch’io non avevo capito cos’era il tempo, ma tutto era così incredibilmente prezioso come mai lo era stato prima.