L’oro di Lecce

Il capoluogo del Salento e il suo Barocco, dai caratteri tanto originali da occupare un posto a sé nel panorama nazionale.
lecce

Vi sono città, in Italia, che pur recando le varie testimonianze di una vita millenaria, si identificano tuttavia con un ben preciso periodo della loro storia ed arte, quasi per un culmine lì raggiunto. Se Ravenna dice arte bizantina, se Firenze Rinascimento, Lecce è sinonimo di barocco.

 

In età spagnola, la città primeggiò come centro artistico e culturale del Sud che la cedeva per importanza solo a Napoli. Fu allora che si arricchì di magnifici edifici, chiese e palazzi, espressione di un’arte che si traduceva in una festa armoniosa di forme e giochi chiaroscurali. Barocco sì, ma un barocco prezioso e gentile come i suoi abitanti, che qui assunse caratteri così originali da divenire lo stile di un’intera regione, il Salento, e da occupare un posto a sé nel panorama nazionale.

 

Fiorito verso la fine del Cinquecento in una città fin allora sotto l’influsso spagnolo, esploso nella seconda metà del XVII secolo, perdurò questo stile per buona parte del Settecento sotto l’impulso dell’aristocrazia ma soprattutto della chiesa.

Lecce dai toni caldi e dorati come un fragrante biscotto per il colore della sua pietra: un calcare tenero e compatto al tempo stesso, che con apparente docilità si prestò ai più incredibili e capricciosi ricami, profusi su palazzi e chiese. Di epoche diverse, magari, ma così armonizzati, così coerenti fra loro da apparire concepiti da una stessa mente.

 

Magica Lecce, teatro di sé stessa nelle svariate e scenografiche prospettive. Giustamente Cesare Brandi asseriva che «la sua bellezza non è tanto fatta dai monumenti singoli presi a sé»; piuttosto sono i monumenti stessi ad essere «altamente valorizzati dal tessuto urbanistico della città».

 

Passeggi nel centro storico e questo “bello”, sia che intoni il suo magnificat da quell’opera di oreficeria che è la facciata di Santa Croce, sia che mormori in toni più sommessi da qualche palazzotto recondito (ma così “necessario” nell’insieme del coro), ti allieta, ti eleva, ti forza dolcemente a ritrovare il meglio di te, quasi per essere più degno cittadino di questa meraviglia architettonica.

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