Lorin Maazel il “magnifico”

Spettacolare. Energico. Lussuoso. Maazel, 77 anni, brucia col gesto la sua Orchestra Toscanini dirigendo le Nove Sinfonie beethoveniane a Roma, all’Auditorio Conciliazione, per il X Festival di Pasqua, ideato e guidato da Enrico Castiglione. Standing ovation per un musicista che ha l’orecchio assoluto e che da 50 anni è sul podio delle migliori orchestre del mondo. Nel passato, aveva paura di Beethoven: Oggi non più. Lo amo e lo rispetto. È un mistero – che non si chiarirà mai – infatti come sia riuscito a superare il suo limite fisico (la sordità, ndr). Certo, il Beethoven di Maazel, così pulsante ritmo e fascino, non è quello asciutto di Toscanini, colui che l’ha lanciato ancora ragazzino. Per me – afferma – egli rimane, a 50 anni dalla morte, un simbolo di perfezione, di devozione alla musica classica: uno che ne ha compreso il ruolo nella società. Musicalmente, certo, ci sono delle divergenze e forse oggi lui non approverebbe le mie interpretazioni. Ma gli artisti non si imitano. Ricordo che Carlos Kleiber (direttore da poco scomparso ndr.) veniva alle mie prove con la partitura e scuoteva la testa: me lo disse. Gli risposi: io amo molto la tua interpretazione di Beethoven, proprio per questo, perché è all’opposto della mia. Ma, tornando a Toscanini, credo che sarebbe contento del mio atteggiamento verso la musica. Io la amo, mi piace sempre di più e credo nella sua importanza per la società di oggi. Ma cos’è la musica? È qualcosa – risponde nel suo italiano quasi perfetto – che si rinnova sempre, perché si rinnova il nostro rapporto con essa. Noi interpreti dobbiamo far rivivere quelle macchie – le note – sulla partitura. Ma quando credi di aver raggiunto un livello, ti accorgi che hai fatto un’altra strada, sei finito da un’altra parte. Io trovo sempre qualcosa di nuovo. Stamane, alle prove, ho scoperto nuove soluzioni tecniche, un nuovo fraseggio di cui prima non m’ero accorto. Certo, a volte devo ingabbiare il mio istinto musicale, frenarlo: ma, anche se lo chiudo da un parte, lui esce fuori lo stesso (sorride, ndr). La classica non è – almeno da noi – così popolare. E può spaventare o deludere chi le si avvicina per la prima volta. Beethoven – dice animandosi – possiede un’intensità, uno slancio così impressionante che nessuno può resistergli, se trova l’interprete che mette in rilievo questa pulsazione. Ne resta colpito soprattutto chi non conosce la musica. Rimanere colpiti dall’esperienza artistica è qualcosa di molto importante, perché purtroppo esistono delle interpretazioni mediocri o noiose che danneggiano la reputazione della classica. Me ne accorgo assistendo io stesso a concerti in cui la gente sbadiglia o rumoreggia: giustamente. La colpa però non è della musica – questo i nuovi non lo sanno – ma della mancanza di competenza e specialmente di amore da parte dell’interprete. La grande musica rimane per sempre, basta osservare quanto Mozart è importante per i giovani!. Maazel torna a Roma periodicamente. Un grande amore? Devo molto a questa città dove ho iniziato la mia carriera, imparando un atteggiamento verso la vita che non conoscevo prima. Tuttora passeggio di notte, ritrovo luoghi ed emozioni di quei tempi, anche se il mio modo di pensare la vita con gli anni è cambiato. Ma dopo la guerra noi giovani eravamo spaesati, per ritrovarsi c’era bisogno di tornare alla verità. Queste verità, secondo la mia esperienza, si trovano qui a Roma. Maazel star della classica. Con un lato umano bello, perché poco noto. Ho eseguito qualche anno fa il ciclo beethoveniano in un solo giorno a Londra – racconta – per raccogliere fondi per dei bambini sordi, costruendo una clinica specializzata per loro. Ci siamo riusciti. Abbiamo osservato come essi afferravano la musica – suonando pure il timpano o il flauto, e lo si sentiva – attraverso le vibrazioni sonore sul pavimento. È stata una cosa meravigliosa.

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