L’orgoglio non basta

Scuse pubbliche di Bossi, ricomposizione tra base, classe dirigente e nuova leadership. Ma gli scandali non si giustificano con proclami razziali sui responsabili. Serve autoriformarsi tutti padani e no
Umberto Bossi

È stato davvero molto intelligente da parte della Lega ricorrere da subito, appena scoppiati gli scandali finanziari, al lavacro pubblico dell’evento dedicato all’orgoglio leghista. È servito per mettere in campo la forza numerica dei militanti e per ridare lustro al patto tra la base e la classe dirigente del movimento. Non era facile ricomporre quel legame, considerata la delusione giustamente arrabbiata dei suoi elettori e sostenitori; ma la classe dirigente si è presentata forte della credibilità conferita dalle dimissioni dei Bossi padre e figlio e di una linea unitaria che non ha lasciato spazio a protagonismi o scuciture.
 
A Roberto Maroni il compito di prendere in mano il timone, cosa che ha fatto con la naturalezza di chi da tempo si vede calato nella parte di leader; all’ex capo indiscusso, Umberto Bossi, l’onore delle armi e il rispetto dell’ascolto di un discorso zoppicante e giustificazionista, del quale conviene ricordare solo l’umano mea culpa per gli errori commessi nel privilegiare la carriera dei figli.
 
L’adunata bergamasca, molto partecipata anche emotivamente, è quindi equivalsa all’assunzione di una buona dose di ricostituente. Oggi la Lega si è risvegliata più ottimista. Ma volendone proiettare gli effetti nel futuro, non si può tacerne gli aspetti deludenti. Bene il richiamo alla pulizia e la promessa del ritorno all’originaria purità leghista, che alla fondazione era stata assunta come parametro di alterità rispetto agli altri partiti “romani”. Bene il nuovo decalogo di regole. Bene l’impegno all’utilizzo dei fondi pubblici per la partecipazione e la militanza territoriale.
 
Ma sui contenuti politici Bobo Maroni non ha saputo fare altro che riattizzare il fuoco della Padania “libera, indipendente e sovrana”, “sogno leghista” attorno al quale ha chiesto di ricomporre l’unità dell’intero movimento. Una prospettiva (anti) politica che si sperava superata e che stupisce sentire invece avanzare dalla nuova generazione di leadership.
Ammettiamo pure la necessità propagandistica data dalla vigilia elettorale e dalla eccezionalità della situazione; ma essa non giustifica l’assunzione di certi proclami, che anzi risultano aggravati. In più, sia Maroni che Bossi hanno trovato il modo per far emergere la mancanza di “purezza padana” che accomuna tanto Rosy Mauro che Francesco Belsito, i due “peccatori”. Questi e altri richiami para-razziali, se mai qualcuno li ha sottovalutati, non possono più esserlo. Semplicemente, non si possono più tollerare in una forza politica che è stata al governo del Paese e ambisce tornarci.
 
Se neppure uno scandalo come quello in cui è invischiata insegna alla Lega che l’umanità è una e che non esistono enclave di purezza per nascita, allora il compito di autoriformarsi diventa non solo difficile, diventa più che mai difficile, e la Lega resterà nell’immaturità della "forza-contro", senza saper generare un vero "progetto-per".
 
 

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