L’ordine dell’addio

Quando si lasciano le cose dietro di noi, ci illudiamo spesso che l’ordine imposto ad esse, l’ordine dell’addio appunto, sia destinato a conservare le forme conferite. Ma non è così: il tempo ci cambia e cambia anche le cose e nulla si conserva intatto e per sempre. Anche la memoria inganna, per cui non resta che vivere il presente, nella consapevolezza che un destino di solitudine e di morte può essere sconfitto solo dall’amore, perché sempre quando si smette di amare si comincia a morire. È il tema di fondo del romanzo L’ordine dell’addio di Emilia Bersabea Cirillo, edito da Diabasis. La scrittrice, che vive e lavora ad Avellino, coniuga con sapienza la letteratura col suo lavoro di architetto. Lo testimoniano i primi due libri di racconti Fragole (1996) e Fuori misura (2001), il reportage Il pane e l’argilla. Viaggio in Irpinia (1999) ed infine questo suo primo romanzo, accolto positivamente dalla critica e finalista al Premio Domenico Rea. In una scrittura poetica, ricca di introspezione, sospesa tra realtà e sogno, prende risalto la drammatica storia di Valeria che dopo aver vissuto l’esperienza della clinica psichiatrica, nonostante un vuoto totale di memoria, ne esce guarita. Valeria, però, sente fortemente che il recupero del proprio passato è affidato alla sua terra d’origine, alla sua infanzia. Per cui lascia Napoli e si ritrova nel suo paesino dell’Alta Irpinia. Cercando di riappropriarsi di segmenti fondamentali del proprio vissuto – il rapporto con la nonna, la madre, le amiche, le usanze ed i costumi della sua gente – accoglie anche quel passato prossimo sprofondato nel buio assoluto. Nella pace e nel silenzio di una natura incontaminata, nel rapporto amicale con chi ha condiviso gli anni di formazione, la donna risale lentamente verso quel punto oscuro e doloroso che ha minacciato e sembra ancora minacciare la sua esistenza, per comprendere infine che il suo gesto, verso il marito in coma da due anni, dopo un grave incidente, fu gesto disperato e folle d’amore: Io avrei… ucciso Ottavio? Non sono capace di uccidere una lucertola agonizzante. Nel ritrovare sé stessa e nell’accettazione dell’evento tragico che aveva offuscato ragione e cuore, si sente oggi capace di offrire la sua vita alla sua gente, alla sua terra, per un divenire ricco di storia e di prospettive nuove: Bisogna alzare i piedi da terra, staccarsi, per vedere orizzonti più lontani. Che tu li raggiunga o meno, non è importante. Quello che conta è sentirsi già dall’altra parte. Valeria, infatti, cosciente che la minaccia verso la vita della sua gente, delle sue montagne, ben visibile nella ricostruzione del dopo terremoto dell’80, è tuttora presentissima nella mente di insospettabili individui quali sua sorella Martina e il compagno Salvatore Caccese, che tentano di distruggere, con impudenza, la sua tenace volontà di rinascere, vi si opporrà con forza combattiva: Non abbiamo bisogno dei suoi soldi – dirà Valeria allo speculatore Caccese -. Dopo di lei verranno altri e poi ancora altri. Incanteranno coi liquidi come chiama lei il danaro e questo paese diventerà un villaggio per vacanze senza storia. Non abbiamo bisogno di questo… Non le piace il silenzio? Racconta di noi…forse per questo le fa tanta paura. E il vento che si alza all’improvviso non la fa sentire dall’altra parte del cielo? E la luce dell’Est che batte tutte le mattine sui vetri della finestra e le ricorda che è di nuovo vivo tra i vivi non le sembra miracolosa?. Il coraggio ritrovato e la forza di contrastare quanti, con cinico calcolo, s’insinuano nelle sue terre per devastarne la storia e la bellezza, diventano per Valeria un’eco di speranza.

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