L’orchestra invisibile

Tutto cominciò quando il vigile Silvano Crocetti, mentre si sbracciava per incanalare le correnti di veicoli allo sbocco di via del Corso in piazza Venezia, si vide improvvisamente spuntare nella destra guantata – incredibile ma vero! – una bacchetta da direttore d’orchestra. “Oddio, e da dove salta fuori questa? – gli sfuggì -. Sta’ a vedere che le esalazioni dei gas e lo stress mi stanno facendo venire le allucinazioni”. Per esaminare meglio l’oggetto trascurò completamente il traffico. Era proprio una bacchetta da direttore d’orchestra! Per di più, nel maneggiarla, avvertì l’irresistibile impulso a brandirla come un Metha o un Muti, dimenticando di trovarsi su una brutta pedana di cemento. L’agitò timidamente dall’alto in basso e all’istante, in mezzo al frastuono spoetizzante di bus, auto e motorini, udì distintamente l’attacco di una melodia sostenuta da legni e corni. A questo punto al Crocetti, di sotto al casco, la fronte s’imperlò di gocce di sudore… Intanto quel- la bacchetta, quasi fosse dotata di vita propria, cominciò a fremergli tra le dita, a divincolarsi come un’anguilla e a tracciare da sé dei segni per l’aria. Dovette per forza assecondarla. E il prodigio continuò: dopo quell’inizio, s’udì per la vasta piazza, come diffuso da potenti casse, il delicato ricamo di un’arpa… S’era prodotta ormai una certa confusione nei paraggi, e autisti e pedoni s’erano immobilizzati davanti all’assurdo spettacolo costituito da un vigile con bacchetta che sembrava dirigere un’orchestra invisibile. Con le più varie reazioni: chi sconcertato, chi divertito, chi arrabbiato. I clacson protestavano a tutto spiano… ma niente da fare! Lui, Crocetti, continuava come niente fosse (solo i più vicini potevano notare la sua espressione stralunata), mentre la melodia prendeva forma, superando quei rumori discordi. Dopo il lungo arpeggio iniziale, gli archi avevano attaccato il caratteristico ritmo di un valzer, sul quale ben presto fiorì un dolce motivo di corni, cui rispose sbarazzino un clarinetto. “Ma è il “Valzer dei fiori” di Ciaikovskij! – esclamò una studentessa che proveniva dai Fori Imperiali assieme al suo compagno di classe -. Che sarà, una nuova trovata pubblicitaria? “. “Mah!”. Dalle auto ormai bloccate in un ingorgo colossale i guidatori cominciavano a scendere, e qua e là si formavano gruppetti che indicavano con agitazione ora il vigile ora il cielo, come se quella musica piovesse dall’alto; ma più inspiegabile era il fatto che non c’era verso di soffocarla neppure sotto i clacson; anche a tapparsi le orecchie vinceva sempre lui, Ciaikovskij: quella musica, infatti, sem- brava entrarti dentro attraverso i pori. E un altro fenomeno si stava verificando: via via che il valzer diventava più travolgente con l’ingresso dei violini, chi ascoltava avvertiva un pizzicorino lungo le gambe, che si mettevano a scalpitare quasi per proprio conto: era una voglia irresistibile di abbandonarsi all’onda di quella melodia e danzare, danzare… Cominciò un anziano guidatore di Panda, che fino a poco fa lanciava insulti contro il vigile, ritenuto responsabile di quel caos. Dopo aver dato in smanie come se avesse il fuoco acceso sotto i piedi, si rivolse alla moglie e con tono vergognoso e umile: “Permetti, cara, questo ballo?”. “Dici davvero, Cesare? Saranno trent’anni che…”. E sgusciata fuori dall’inutile veicolo, azzardò con lui i primi goffi passi. “Guarda quei due nonnetti, sono ammattiti pure loro!” esclamò l’esasperato autista di un furgoncino della Rinascente. “Due? – fece il compagno accanto con gli occhi da fuori -. E che ne dici di quegli altri?”. Fatto sta che qua e là, negli spazi liberi dalle macchine, o sui marciapiedi, altre coppie accennavano anch’esse a dei movimenti. “Ma che fa?” ribatté un’elegante signora ad un autista dell’Atac sceso dal 64 che, dopo averle cinto la vita, la trascinava nel vortice della danza. “Scusi, sa… è più forte di me”. “Almeno stia attento a dove mette i piedi! “. “Le dispiace, suora?”, fece un giovane punk con tanto di creste e bulloni ad una orsolina non più giovanissima. “Se proprio insisti, figliolo…”. E anche loro si aggiunsero alla schiera danzante. E chi non trovava sottomano un partner dell’altro sesso, roteava su sé stesso come un derviscio, preso da quell’ebbrezza collettiva. Per i marinai di guardia quel giorno all’Altare della patria era un vero supplizio starsene irrigiditi nel loro dovere, all’ombra del cavallone di Vittorio Emanuele: in mancanza d’altro, quanto volentieri avrebbero piroettato attorno al fuoco sacro! Ormai tutta piazza Venezia somigliava ad una grandiosa sala da ballo; perfino sui balconi, negli uffici, negli appartamenti, dovunque giungeva l’onda sonora. C’era chi si dimenava, si urtava, senza più badare alle proprie occupazioni, inutili o importanti che fossero. E il vigile Crocetti? Da quando s’era pienamente abbandonato alla sua bacchetta viva, assaporava con soddisfazione quel momento magico che rendeva la gente felice e faceva spuntare fiori e note a piazza Venezia.

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