L’ora d’oro di Felice Menghini
Andrea Paganini - L’ora d’oro
Andrea Paganini, esploratore, ben più interessante di Indiana Jones, dell’incontro in Svizzera, durante l’ultima guerra, di scrittori antifascisti italiani rifugiati con il grande mediatore culturale don Felice Menghini e con scrittori svizzeri di lingua italiana, risuscitando la piccola editrice “L’ora d’oro” del sacerdote-scrittore, ora pubblica come sua prima uscita, riprendendo il titolo del convegno dell’8-9/12/2007 a Poschiavo, i suoi Atti col titolo L’ora d’oro di Felice Menghini, raccolta organica di saggi su, e di notizie biografiche e bibliografiche, schede iconografiche e fotografiche, traduzioni, scritti poetici e prosastici di Menghini, molti di essi inediti e offerti come anticipazioni esemplari di future pubblicazioni dell’opera inedita ancora da vagliare.
Paganini è uno studioso serissimo, in un libro ben curato (copertina, carta, stampa) che raccoglie quindici studi specialistici incorniciati dalla sua ricca inquadratura iniziale e dalla finale presentazione di prose edite e inedite, ci dà una viva tranche di storia letteraria, anzi di letteratura in atto, per quanto poco sia poi risuonata in Italia, per colpa di quest’ultima.
Libri come questo fanno bene alla mente e al cuore: dunque non tutta la letteratura in circolazione è roba di consumo, dunque si può vivere la letteratura come respiro dell’interiorità ed espressione del vero-bello, come qualcosa che fa o aiuta a vivere.
Menghini aveva e doveva conciliare due vocazioni, quella sacerdotale e quella letteraria: ne soffrì la differenza e il necessario intreccio, garantito dalla sua attitudine contemplativa alla descrizione, soprattutto; e bastano due soli esempi tratti dal Diario personale. Alla vigilia dell’ordinazione scrive: «(…) mi sembra che sia come un improvviso spalancarsi di una porta davanti ad uno che ha passato una notte intiera nel dubbio e nell’ansia di essere introdotto» (sembra di sentire un Kafka un po’ rinfrancato). Ed ecco un breve passaggio narrativo-descrittivo davvero splendente: «Non era la campana, era piuttosto il mattino stesso che parlava, cantava, esultava, chiamando di nuovo gli uomini alla gioia e al dolore della vita».
Certo non è facile mettere insieme quest’anima “di un Metastasio” con la coscienza severa che lo rimprovera di godere di più, dice, quando scrive «qualche bella riga nel diario, che non quando passo tre ore a insegnar catechismo».
Senza letteratura non potrebbe vivere, e perciò la coltiva, ma contemporaneamente ne fa un dono sacerdotale a rifugiati italiani e scrittori connazionali: questo è il suo capolavoro, interrotto solo da un imperscrutabile incidente di montagna che lo uccide a trentotto anni.
Fa davvero bene Paganini a risvegliare la sua opera e le sue opere.