L’ora delle manette mentre le imprese fuggono
«È vero, quello che sta accadendo in Catalogna inciderà sull’economia, sia in Catalogna sia nel resto della Spagna. Non si tratta di un problema di crisi dal punto di vista economico, ma noi imprenditori abbiamo bisogno di stabilità». Sono parole di Antonio Garamendi al quotidiano La Opinión. Quest’imprenditore, con lunga esperienza in consigli di amministrazione di grosse compagnie, è l’attuale presidente della Confederazione spagnola delle piccole e medie imprese (Cepyme) e vicepresidente della Confederazione spagnola delle organizzazioni imprenditoriali (Ceoe). Interrogato sulla “fuga d’imprese” dalla Catalogna, la sua risposta è stata chiara: «Noi imprenditori non prendiamo le nostre decisioni alla leggera, si avvertiva già da tempo che qualcosa non andava. Gli imprenditori non se ne sono andati di Catalogna, sono stati cacciati via». E ha aggiunto: «Non credo che a nessuno sia piaciuto prendere questa decisione; se l’hanno presa e perché non vi era altra possibilità».
Si vedeva arrivare la crisi, dice Garamendi. In effetti, l’uscita di imprese di ogni tipo si è fatta precipitosa in queste settimane, ma in realtà era iniziata molto prima, quando i rumori sull’indipendenza erano cominciati a circolare negli ambienti politici catalani, ancora prima delle elezioni nel settembre 2015. Già allora eleconomista.es informava sul fatto che oltre 6 mila società di diverso tipo avevano traslocato la loro sede sociale in altre regioni del Paese, tra il 2008 e il 2015. Tornando all’oggi, «a richiesta di diversi gruppi imprenditoriali» per facilitare le cose, il 6 ottobre il governo spagnolo ha approvato un decreto che consente ai consigli amministrativi di prendere decisioni senza bisogno di convocare l’Assemblea degli azionisti.
Il discorso indipendentista, o meglio la “narrativa” indipendentista, come ora si usa dire, non piace agli imprenditori. Così affermava – un giorno solo prima della “dichiarazione d’indipendenza” – Jose Luís Bonet, presidente di Freixenet, un’importante ditta di produzione di cava (spumante) catalano, e anche della Camera di commercio di Spagna in dichiarazioni apparse su diversi media: «Se davvero andiamo verso una dichiarazione unilaterale d’indipendenza, ci sarà un’importante uscita di ditte dalla Catalogna». Ed è quel che si sta avverando. I comunicati che le ditte quando viene resa pubblica la decisione di spostare la sede sociale (nella maggior parte dei casi anche la sede fiscale) segnala la «sicurezza giuridica» come causa principale del trasloco. In un mercato globalizzato, poi, la sicurezza di restare in ambito dell’Ue, e nel caso delle banche sotto l’ombrello della Banca centrale europea, non è da disprezzare, anche se si è fortemente legati alla cultura catalana (come nei casi della Banca Sabadell, di Caixabank, di Axa Assicurazioni, di Bimbo alimentari, dell’Editoriale Planeta…). Le imprese fuggite della Catalogna nel mese di ottobre raggiungono quasi le 2 mila. Tra di loro sei delle imprese sette catalane che fanno parte dell’indice azionario Ibex35.
Intanto, Carles Puigdemont e quattro dei suoi consiglieri guardano da Bruxelles l’evolversi degli avvenimenti. Non si sa bene come interpretare questa loro “fuga”; forse fa parte del piano mediatico per internazionalizzare il conflitto catalano. Contro di loro sarà dettata un ordine di detenzione europea per non presentarsi ai giudici della “Udienza nazionale” a Madrid, come invece hanno fatto il resto dei consiglieri giovedì mattina. Questi, accusati dei delitti di ribellione, sedizione e appropriazione indebita di fondi, hanno una settimana per preparare la loro difesa.
Infine, giovedì, alle 19:30, il vicepresidente e sette consiglieri del governo catalano esautorato dal governo centrale sono entrati in prigione preventiva per decisione della giudice incaricata del caso, perché c’è il rischio che scappino, come hanno fatto il presidente e quattro consiglieri. Quelli che torneranno a Madrid giovedì prossimo sono la presidente del Parlament, Carme, e i cinque componenti della «mesa» (tavolo) del Parlament.