L’ora della verità
È possibile che una signora anziana, nonna e madre deliziosa, amante dei fiori che coltiva nel giardino di casa alla periferia di Londra, sia stata una spia del Kgb durante l’ultima guerra?
Il film Red Joan diretto con indubbia abilità da Trevor Nunn e tratto dal romanzo di Jennie Rooney La ragazza del Kgb è uno dei tanti lavori che svelano segreti inconfessabili, di chi porta con sé un passato oscuro o comunque poco chiaro. E che vorrebbe dimenticare, non parlandone con nessuno. Siamo in un tempo di “rivelazioni” sul passato della gente, di ogni genere, e il cinema non si tira certo indietro.
Una mattina qualunque la polizia bussa alla porta di casa di Joan Stanley e la porta via. Lei ha ottantacinque anni, viene sottoposta ad un martellamento di interrogatori, nega e poi lentamente svela la verità sul suo passato. Si è scoperta una storia, anzi una brutta storia. A Cambridge, nel 1937 la giovane Joan, intelligente, colta, capace scienziata, aveva conosciuto il bel misterioso Leo, un intellettuale russo, che scoprirà comunista convinto. L’intreccio si trasforma in amore, un amore che va e viene e coinvolge altri personaggi, in una spy-storia avvincente dove la giovane si decide a rivelare segreti scientifici del suo laboratorio al Kgb per salvare dall’atomica l’Europa e l’Inghilterra.
È l’amore che muove Joan finita in una storia più grande di lei. Perde molto, la donna, in ogni senso. Poi, finita la guerra, del passato lei non ne parla più, certo non ai figli, per proteggerli, e ben poco al marito, che ora è morto. «Sapevamo tutti che non era permesso parlare di ciò che avevamo fatto durante la guerra», si difende, svelando un comportamento seguito da parecchie persone. E tuttora.
Il film ruota intorno all’interpretazione grandiosa di Judi Dench e vale la pena vederlo solo per vedere lei, che solo con gli occhi racconta tutto. Ma l’opera pone un interrogativo che non ha trovato ancora soluzione, forse. Riguarda anche noi, da vicino. Pure in Italia sono state compiute in guerra cose terribili che pongono problemi etici. E non ne vogliamo troppo sentir parlare.
Certo, Joan non ha ucciso nessuno, ma, così pensano i poliziotti, «ha tradito il suo Paese». È vero? Come si fa a giudicare il passato con gli occhi del presente? La domanda rimane. Il film, recitato perfettamente dall’intero cast, porta a pensare – non a giustificare – sui dubbi, le angosce, le paure, i rischi che si corrono nei tempi difficili. Quelli della guerra, ma pure il nostro.
Rapido, incalzante, il racconto ci interroga e ci tiene sospesi. Joan Stanley ha fatto bene o male a fare la spia? Bella domanda, in attesa di risposta.