L’ora del metano liquido

Diciotto anni fa, sull’onda del disastro di Chernobyl, gli italiani avevano deciso di abbandonare il nucleare: era stata subito una mossa vincente, perché la Francia che invece aveva scommesso ampiamente su quella fonte di energia, era giunta a produrne in sovrappiù soprattutto nelle ore notturne: così era ben contenta di vendere a basso prezzo quell’energia all’Italia, che disponendo dei bacini idroelettrici alpini, la utilizzava per pompare di notte nelle dighe in alta montagna l’acqua che di giorno veniva invece fatta scendere nelle turbine per produrre energia nelle ore di maggior consumo. Con gli anni le restrizioni europee all’uso dei combustibili diventavano sempre più severe obbligandoci ad abbandonare la produzione di energia da olio combustibile per passare sempre più al metano. Il metano, o gas naturale, è una fonte di energia che nel dopoguerra era stata trovata dall’Eni in Valle Padana e che negli anni successivi si era importata in misura sempre crescente con grandi gasdotti dall’Olanda, dalla Russia, dall’Algeria ed ultimamente dalla Libia. A chi obiettava che basarsi sull’energia elettrica in più dalla Francia e su tre gasdotti le cui valvole potevano essere chiuse all’esterno del nostro paese era troppo rischioso, si rispondeva che una politica autarchica era antistorica: il venditore del metano avrebbe potuto chiudere le valvole, ma nello stesso momento, non disponendo di un acquirente alternativo, per lui si sarebbe chiuso il flusso del nostro denaro. Una considerazione che si rivelava troppo semplicistica l’inverno scorso, quando un conflitto economico politico tra la Russia e l’Ucraina, Paese attraverso cui passano i gasdotti russi per giungere fino a noi, aveva impedito di ricevere parte del gas di cui avevamo bisogno per riscaldare le nostre case e far funzionare le nostre fabbriche: più che sui contratti firmati, allora, da bravi italiani, si era confidato sulla conclamata amicizia tra il nostro presidente del Consiglio di allora con il presidente russo. In quel momento l’Italia si era resa conto dell’errore strategico di non essersi attrezzata per ricevere in grandi quantità metano liquido: esistevano da anni i progetti per ben otto terminali in varie parti della costa italiana a Brindisi, al largo di Livorno, a Rovigo, a Trieste, a Porto Empedocle, ecc., ma le varie amministrazioni locali ne avevano fino allora rallentato la costruzione: eppure l’Italia era stata tra le prime nazioni ad attrezzarsi nel 1971 per questo tipo di trasporto con un terminale a Panigaglia, presso La Spezia, della capacità di 3 miliardi di metri cubi, ormai insufficiente: le prime navi metaniere erano state costruite nei Cantieri Navali di Genova, con tubazioni e serbatoi di acciaio speciale perché non soggetto alla fragilità che altri acciai presentano alle bassissime temperature, – 160 °C, a cui si deve trattare il metano liquido. L’impianto di Panigaglia ha funzionato egregiamente per anni, per rimanere per alcuni anni sotto utilizzato perché la Libia, puntando sul fatto che l’Eni non aveva fonti alternative di rifornimento oltre al suo terminale di Skidda, aveva preteso un aumento di prezzo. Negli ultimi anni però sono stati scoperti nel Golfo Persico, in Africa Occidentale e nella sponda sud del Mediterraneo grandi giacimenti di gas naturale, di metano, e si sono realizzati grandi investimenti per la sua liquefazione. Mentre il processo di ritorno alla fase gassosa del metano liquido è semplice e sicura, lo stadio più impegnativo è quello della liquefazione al pozzo di produzione: in quei desolati deserti vengono installati grandi impianti, lunghi chilometri, fatti di enormi compressori azionati a metano, che innalzano la pressione e la temperatura del gas in uscita dai pozzi: il metano compresso viene quindi riportato a temperatura ambiente tramite colossali refrigeranti in cui l’aria viene forzata con grandi ventole: il metano compresso e raffreddato viene quindi fatto espandere fino a pressione ambiente, ottenendo, proprio come nel frigorifero, una drastica diminuzione della sua temperatura e la sua liquefazione. Il metano liquido viene accumulato in serbatoi e quindi pompato in quelli a bassa pressione delle navi metaniere: durante il viaggio in mare una piccola parte del metano evapora, contribuendo a mantenere a bassa temperatura il resto del liquido: la piccola parte gassificata viene nuovamente compressa a e liquefatta a bordo. Quando la nave arriva al terminale di destinazione, il metano liquefatto viene pompato in serbatoi spesso sotterranei, da cui un po’ alla volta viene prelevato e fatto evaporare per immetterlo nella rete dei gasdotti: di per sé questa operazione è uno spreco, perché disperde l’energia spesa alla partenza per immagazzinare preziose frigorie, che potrebbero essere utilizzate per mantenere senza spesa a bassa temperatura enormi frigoriferi industriali, ad esempio per la conservazione di prodotti dell’agricoltura: in effetti il presidente Prodi si è impegnato a questo tipo di utilizzo per potenziare la commercializzazione della produzione agricola della Puglia, se in questa regione si giungerà presto a realizzare il terminale lì previsto. Mentre in Italia si esita, sia la Francia, che pure dispone del nucleare, che la Spagna stanno costruendo terminali molto grandi, adatti a ricevere quanto prima il metano liquefatto egiziano presto disponibile da nuovi impianti di liquefazione. In Italia si accampano problemi di impatto ambientale, perché il metano può essere vaporizzato raffreddando l’acqua del mare, e di sicurezza: certo essi vanno valutati, cautelandosi soprattutto dalla eventualità di attacchi terroristici, che portano ad evitare di realizzare questi terminali accanto a grandi porti o a grandi assembramenti urbani. In trent’anni di attività non ricordo che il terminale di Panigaglia abbia creato grossi problemi alla popolazione circostante, semmai ultimamente problemi di antitrust perché tutti vorrebbero potervi scaricare le proprie metaniere. A parte i vantaggi dei nuovi posti di lavoro che questi insediamenti potrebbero indurre con l’utilizzo del freddo gratuito reso disponibile da essi, gli eventuali problemi per la comunità andrebbero confrontati con quelli che tutti avremmo se dovessimo uscire dalle città per andare a raccogliere legna nei boschi per riscaldarci con la stufa.

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