L’opera di Gandhi continua a dividere gli indiani
Il 2 ottobre del 1869, nel cuore dello Stato del Gujarat, nasceva Mohandas Karamchand Gandhi, un uomo destinato a cambiare il corso della storia, non solo del suo Paese, l’India, che sotto la sua ispirazione di una dottrina di non-violenza riuscì ad acquistare l’indipendenza, ma del mondo intero. Lo aveva capito da subito Albert Einstein che, commentandone la morte, disse: «Le generazioni a venire, forse, non potranno credere che uno come lui possa davvero aver camminato, un giorno, sulle strade di questo mondo».
Oggi il Mahatma, la “Grande anima”, come lo rinominò un altro grande dell’India a lui contemporanea, Rabindranath Tagore, avrebbe compiuto 149 anni. Si entra quindi nel secolo e mezzo dalla nascita di questo piccolo grande uomo che, dopo una carriera di avvocato, in India e in Sud Africa, ebbe una sorta di vocazione alla non-violenza che usò, sì, per contribuire a portare il suo popolo all’indipendenza, ma anche per proporre una nuova forma di induismo di cui è ancora oggi considerato un rinnovatore, sulla spinta del grande fenomeno di aggiornamento di questa religione che si è sviluppato a partire dal XIX secolo.
Eppure, ci sono stati pochi uomini apparsi sulla terra che hanno incarnato un segno di contraddizione quanto il Mahatma. Nel suo stesso Paese Gandhi – ancora oggi considerato, quasi venerato, come padre della patria – è da molti visto come la sorgente dei mali dell’India moderna. Non sono pochi gli indiani che lo vedono come un visionario illuso e, cosa ancor più grave, un traditore di quell’induismo a cui restò sempre fedele, sebbene non ne approvasse tutte le manifestazioni e retaggi storici. Lo dimostra il fatto che Gandhi è morto martire, colpito dalle pallottole della pistola di un fanatico estremista indù che condivideva gli stessi principi ed ideali del partito – il Bharatya Janata Party (Bjp) – che oggi governa il suo Paese. Molti, poi, vedono in lui la causa della frattura all’interno del sub-continente indiano nei tre Paesi – oltre a Sri Lanka, Nepal e Bhutan – che lo costituiscono: India, appunto, Pakistan e Bangladesh.
A conferma di questa contraddizione della figura storica del Mahatma, oggi 2 ottobre, in occasione dell’entrata nel 150° della sua nascita, Sevagram, l’ashram da lui fondato, e Wardha, il villaggio indiano che sorge nelle vicinanze, che lo hanno visto vivere gli ultimi undici anni della sua esistenza, sono testimoni delle manifestazioni delle due maggior correnti politiche dell’India attuale. Il partito del Congresso e il Bjp si contenderanno il diritto a definirsi gli eredi del grande uomo.
Rahul Gandhi, presidente del partito del Congresso, presiede un incontro simbolico per chiedere le dimissione del governo guidato da Surendra Modi, accusato di aver creato un’atmosfera di paura, odio e violenza in tutto il Paese. È previsto che Rahul, alla testa di una marcia che partendo da Sevagram arriverà a Wardha, parli a una folla convenuta per la celebrazione. Alla fine della giornata un albero verrà piantato in ricordo del Mahatma. Wardha è un luogo simbolo perché proprio in questo che allora era poco più che un villaggio, nel 1942, il comitato centrale del Congresso lanciò il “Quit India Movement” contro gli inglesi. Sarebbe stata questa mossa e le sue manifestazioni conseguenti che avrebbero portato all’indipendenza del Paese.
Allo stesso tempo, il governo locale del BJP, per non essere da meno, ha organizzato una manifestazione che, dopo l’omaggio al Mahatma presso l’ashram di Sevagram, prevede l’inaugurazione di un gigantesco chakhra (arcolaio usato da Gandhi per filare il tessuto khadi) operato elettricamente, da parte del ministro delle Finanze del governo dello Stato del Maharashtra. Il Bjp è impegnato in investimenti per modernizzare l’ambiente attorno a Wardha e a Sevagram e a facilitare i collegamenti fra i due centri e la città di Nagpur, capitale della zona settentrionale dello Stato del Maharashtra e centro del fondamentalismo indù. Il progetto del Bjp mira a proiettare l’immagine di un partito che vuole ricordare ed onorare la figura di Bapu – altro nome di Gandhi che significa “babbo” – e rivendicare la fedeltà a lui e alla sua filosofia.
A centocinquant’anni dalla sua nascita, il Mahatma continua a dividere e la sua stessa figura appare ancora profondamente contraddittoria. Da una parte, una fede incrollabile nella sua progressiva scoperta di quello che lui stesso chiamava «gli esperimenti della verità». Dall’altra, i contrasti che, pure se era seguito da milioni di persone, creava quando era ancora in vita e che portarono al suo martiro. La sua figura resta ancora un mistero, proprio come lui stesso aveva previsto con quel dono di profezia che aveva caratterizzato soprattutto l’ultima fase della sua vita, quando aveva previsto anche la sua morte. «Una volta che questi occhi saranno chiusi per sempre ed il mio corpo sarà consegnato alla fiamme, ci sarà tutto il tempo per pronunciare un verdetto sulla mia opera». Ancora oggi, forse, è difficile esprimere un verdetto su un uomo che ha cambiato la storia dell’umanità del secolo scorso e, forse, non solo.