L’Onu, la Nato e una fragile Europa
Il conflitto in Iraq, mentre scrivo, non è ancora scoppiato. L’immenso potenziale distruttivo americano non si è ancora abbattuto sui deserti e sulle città fra il Tigri e l’Eufrate, ma una prima vittima, la più illustre, c’è già stata: la Nato. Non era certo previsto nei piani militari fatti predisporre da Bush per chiudere i conti sul campo con Saddam Hussein, e tanto meno negli affrettati e un po’ dilettanteschi approcci diplomatici. Distratti forse dai propri successi economici e tecnologici – non bastano l’incidente dello shuttle o il calo delle borse a colmare l’enorme divario che li separa da ogni altro paese – gli Stati Uniti non sembrano avvertire la fragilità della propria diplomazia che troppo assegnamento fa sulla forza e troppo poco tiene conto degli altri fattori che determinano il comportamento degli uomini e delle nazioni. È una caratteristica questa che certamente condividono con altri paesi, ma che è assai meno scusabile in una superpotenza che aspira ad essere, e in parte è già, il Grande gendarme del mondo. È una fragilità che ha radici lontane e che si ripropone ciclicamente ogni volta che gli americani scelgono il loro presidente guardando soprattutto ai propri problemi interni, quando di fatto la loro scelta condiziona poi pesantemente tutta l’immensa impalcatura dei rapporti internazionali. Certo, questo paese si è conquistato grandi meriti intervenendo due volte nel secolo scorso in aiuto delle democrazie europee, pagando per questo un altissimo tributo di sangue; e si capisce con quanto risentimento possa tacciare oggi i francesi di ingratitudine. Ma sembra dimenticare di avere tradito queste idealità ogni volta che è venuto a patti con i peggiori dittatori del Terzo mondo, pur di conquistarne i mercati. Proprio la vicenda irachena e la storia del tiranno Hussein ne costituiscono un emblematico esempio. Con l’attacco terroristico alle Torri di Manhattan, molte cose sono cambiate.Ancora oggi gli Stati Uniti non hanno superato lo shock e, per rimuoverlo, oltre che per vendicare l’affronto, pensano di dover dimostrare che non si può impunemente attaccarli irridendo alla loro smisurata potenza. Dopo l’Afghanistan, l’Iraq annientato avrebbe dovuto costituire, nel loro piano, il deterrente di dissuasione più efficace verso qualsiasi velleità dei cosiddetti “stati canaglia” che stanno offrendo o potrebbero offrire protezione ai terroristi. Per convenienza o per convinzione, i governi di molti paesi hanno condiviso questo punto di vista. Tanto più che quasi tutto lo sforzo e il rischio dell’operazione in uomini e mezzi se lo stanno accollando gli americani, con un più modesto ma significativo contributo dei cugini britannici. Ora però due nazioni che contano, e che formano il nerbo portante del sistema difensivo atlantico sul continente europeo, la Francia e la Germania, hanno voltato le spalle agli Stati Uniti. Seguiti dal piccolo ma significativo Belgio e appoggiati dalla nuova Russia di Putin, hanno provocato nella Nato una spaccatura senza precedenti. Certo, l’ostilità francese alla Nato e la sua rivalità latente verso gli Stati Uniti sono cosa vecchia che affonda le radici nel processo di formazione stesso del grande paese americano.Altra è la storia dei tedeschi, prima nemici, ora da mezzo secolo fedeli alleati; assai meno unanimi davanti al nuovo corso imboccato da Schröder, condizionato dalle frange estreme del suo partito. Come minimo si deve riconoscere che le carte si sono davvero rimescolate molto. Proprio all’indomani del nuovo allargamento ad est della Nato e alla vigilia dell’accoglimento dei nuovi paesi nell’Unione europea, si registra lo scacco di entrambi questi due grandi organismi sovranazionali, mentre la stessa Onu si trova lacerata dentro il Consiglio di sicurezza come non lo è stata più dopo la fine del bipolarismo. Nello sconcerto generale, si deve quanto meno riconoscere che tutto ciò non porta confusione, ma chiarezza, perché mette a nudo le distanze che restano da colmare se si vuole procedere verso il conseguimento delle principali finalità di questi stessi organismi, che sono state aggiornate dopo la fine della guerra fredda. E soprattutto evidenzia la necessità di non procedere a testa bassa verso un conflitto che, ancor prima di esplodere, è stato causa di queste spaccature.