L’onestà paga sempre… o no?
C'è chi ritiene che le leggi servano a limitare i danni dei furbi, piuttosto che a premiare e incoraggiare i comportamenti degli onesti.
Ci risiamo: è partita un’altra, l’ennesima, guerra delle cifre sulla politica del governo. In Italia, dove due più due fa quattro solo negli anni bisestili, ci siamo purtroppo abituati. Questa volta a contrapporre numeri, tabelle e analisi sono il ministero del Tesoro e l’Agenzia delle Entrate da una parte, e la Banca d’Italia e un gruppo sparuto di economisti indipendenti dall’altra. I numeri in questione riguardano precisamente l’ammontare dei capitali italiani detenuti all’estero che sono stati dichiarati, regolarizzati e riportati in Italia a seguito del cosiddetto scudo fiscale, sul quale già altre volte siamo intervenuti (vedi correlati).
Nei precedenti interventi avevamo fatto notare che difficilmente questo ennesimo condono sarebbe stato più efficace di quelli precedenti. E questo in virtù della difficoltà a impegnarsi credibilmente da parte di ogni governo, non solo l’attuale, ad accantonare una volta per tutti la politica delle sanatorie. Ebbene, ora iniziano ad arrivare i dati. A fine dicembre il ministero dell’Economia comunica ufficialmente che lo scudo fiscale ha portato all’emersione di 95 miliardi di euro, di cui ”il 98 per cento è fatto da rimpatri effettivi in Italia”. Buone notizie, sembra, perché quegli ingenti capitali rientrati potranno ora essere reinvestiti in Italia a tutto vantaggio del sistema economico e più in particolare delle imprese. “La più grande operazione di sempre”, commenta con qualche enfasi il ministro Calderoli.
Tutto bene quindi, fino a quando, però, il 17 febbraio scorso, la Banca d’Italia emette un comunicato nel quale si fa notare che i capitali effettivamente rientrati ammontano a non più di 35 miliardi. La Banca d’Italia viene immediatamente ribattezzata dallo stesso Calderoli “Banca d’opposizione” e Tremonti si limita a ironizzare sulla cosa. La notizia arriva sui grandi giornali, i quali però sembrano più interessati alla polemica politica che alla verità dei fatti e dei numeri. Chi ha ragione quindi?
L’inghippo nasce dal fatto che, tecnicamente, le modalità di adesione allo scudo fiscale sono diverse: c’è la regolarizzazione, che prevede che si lascino i capitali all’estero e si denuncino al fisco italiano; c’è poi il rimpatrio giuridico, in virtù del quale i capitali continuano ad essere investiti in attività estere, ma si fanno gestire da un intermediario italiano; c’è infine il rimpatrio con liquidazione, che implica la liquidazione dei patrimoni e il rimpatrio fisico dei capitali. Sono questi ultimi gli unici soldi veri che possono dare ossigeno all’economia italiana e apportare una spinta al nostro prodotto interno lordo.
Ebbene, ci dice la Banca d’Italia, alla luce delle rilevazioni sulla bilancia dei pagamenti, i capitali effettivamente (= fisicamente) rientrati a casa ammontano a soli 35 miliardi. Poco più del 10 per cento dei soldi italiani all’estero, che la Guardia di finanza stima per difetto in 300 miliardi di euro. Che di inghippo vero si tratti e non di puro nominalismo contabile lo segnala anche il fatto che, a seguito della pubblicazione dei dati della Banca d’Italia, l’Ocse abbia deciso di avviare un’indagine relativa al rispetto delle norme internazionali anti-riciclaggio dei capitali criminali.
Da questa storia emergono almeno cinque elementi importanti, che vorremmo qui sottolineare. Innanzitutto la poca chiarezza dimostrata dal Governo nella comunicazione delle modalità di rimpatrio e l’uso ambiguo delle statistiche a fini propagandistici. Ma il Governo è parte in causa e si può anche tollerare il fatto che tenti di enfatizzare i successi e minimizzare gli insuccessi.
Ciò che sorprende di più, invece, è l’atteggiamento “partigiano” mostrato da un organismo tecnico che dovrebbe essere indipendente, come l’Agenzia delle Entrate, unitamente allo spregio e ai tentativi di delegittimazione verso chi invece si comporta in modo neutrale attenendosi ai propri compiti istituzionali di controllo come la Banca d’Italia e altri economisti indipendenti (vedi per esempio lavoce.info e nFA). L’inefficacia sostanziale della misura del condono che al momento, ma aspettiamo ancora dati più dettagliati, ha consentito l’effettivo rimpatrio di poco più del 10 per cento dei capitali detenuti all’estero.
Ma c’è anche un ultimo elemento fondamentale, di cui però stranamente nessuno parla, fatta eccezione anche qui per la Banca d’Italia. Si tratta del fatto ripetutamente sottolineato nei nostri precedenti interventi sul tema ed evidenziato anche da Fabrizio Saccomanni, direttore generale della Banca, che “Lo scudo fiscale può avere effetti negativi sugli incentivi dei contribuenti a pagare le imposte in futuro”. Come a dire che un euro ottenuto oggi attraverso una sanatoria fiscale, ci costerà chissà quanti euro di nuove tasse evase nel futuro.
Questa è una delle conseguenza più profonde e pericolose di una politica malata di short-termism, che insegue cioè solo i tempi del ciclo elettorale e fondata essenzialmente su una visione costituzionale secondo cui le leggi servono per limitare i danni dei furbi, piuttosto che per premiare e incoraggiare i comportamenti degli onesti. Ma si sa ormai da tempo che una simile visione finisce col tempo per far proliferare i furbi ed estinguere gli onesti. E chi è furbo, molto furbo, i capitali continua a tenerli all’estero.