L’onestà di mantenere le promesse

Macky Sall è il nuovo presidente del Senegal, dopo un ballottaggio che prova la raggiunta maturità politica. «Serve coraggio e onestà»: è il commento di Pape Diaw
Macky Sall

«Una vittoria per il popolo senegalese»: così Olesegun Obasanjo, capo delegazione dell’Unione africana, ha definito i risultati del ballottaggio alle presidenziali in Senegal, dove lo sfidante Macky Sall ha battuto il presidente uscente Abdoulaye Wade. Dichiarazioni di apprezzamento per una consultazione che si è svolta pacificamente, nonostante i timori seguiti alle violenze della campagna elettorale e del primo turno, sono arrivate anche dal presidente Usa Barack Obama, dal segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, e da molti altri; ma soprattutto emerge il compiacimento nel vedere un Paese che è riuscito a smentire i peggiori luoghi comuni sulle elezioni in Africa, tra cui quello che un capo di Stato uscente debba comunque trovare la maniera, legale o meno, di perpetuare il suo potere.
 
E infatti le accuse a Wade in questo senso erano state pesanti: ma l’ex presidente ha riconosciuto immediatamente la vittoria dell’avversario, pronunciando un discorso da molti ritenuto esemplare. Come leggere questo cambiamento? Lo chiediamo a Pape Diaw, portavoce della comunità senegalese di Firenze, già interpellato da Città Nuova in occasione del primo turno delle elezioni.
 
Nella nostra scorsa intervista aveva definito il Senegal come una democrazia matura messa alla prova; possiamo dire che l’ha superata?
«Direi di sì: la maturità del popolo senegalese ha prevalso, nonostante si temesse il peggio dopo i morti della campagna elettorale. Speriamo che questo vento si estenda agli altri Paesi africani».
 
Wade aveva ottenuto la maggioranza relativa al primo turno: una sconfitta inattesa, anche di fronte a un certo fatalismo in merito alla conservazione del potere?
«In effetti si è respirata una certa atmosfera fatalista, ma pochi giorni prima del voto i partiti di opposizione hanno trovato un’intesa, ed è cambiato tutto. Anche qui a Firenze, storicamente una roccaforte di Wade, soltanto 38 voti sono andati a suo favore, mentre Sall ne ha raccolti 134».
 
Anche la maniera in cui Wade ha riconosciuto la vittoria di Sall è stata inaspettata. Può dirsi parte di questo processo di maturazione, o semplicemente è stato costretto dagli eventi?
«Certo è stata inaspettata, ma la saggezza africana ha prevalso. Il suo discorso ha contribuito a rasserenare il clima e ha contribuito a una transizione pacifica; credo che i senegalesi dovrebbero ringraziarlo».
 
Nella scorsa intervista aveva indicato tre sfide per il nuovo presidente: la lotta alla corruzione, il debito estero e la ricostruzione del tessuto sociale. Come le affronterà Sall?
«Prima di tutto dovrà risanare i conti: un problema non da poco, tenendo conto che i partiti hanno speso quasi tutto per la campagna elettorale. Dopo nuove elezioni ci sono sempre tante attese: per ricostruire il tessuto sociale è quindi fondamentale che Sall abbia il coraggio e l’onestà politica di mantenere le promesse fatte. Troppe volte l’Africa è stata delusa dai suoi stessi figli, troppe volte i giovani sono stati traditi. Serve un segnale di discontinuità con il governo Wade, di cui Sall era ministro, perché il malcontento è palpabile: gli insegnanti sono in sciopero e la disoccupazione giovanile è elevata».
 
Molti commentatori fanno appunto notare come con Sall sia entrata una classe politica nuova e giovane, fattore cruciale in un Paese dove il 60 per cento della popolazione ha meno di 25 anni: un rinnovamento vero o solo apparente?
«Indubbiamente è un segnale positivo, ma ho qualche perplessità: molti giovani, e non solo in Senegal, ritengono che i politici abbiano intrapreso questa carriera solo per fare soldi e pochi hanno un vero ideale politico. È dal ribaltamento di questa concezione che bisogna partire. Certo è un momento buono per il cambiamento: ma se questo significa un’ondata di giovani interessati solo al denaro, allora no, grazie».
 

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