L’omicidio di Loris e il valore della privacy

La madre del piccolo è stata fermata per omicidio. La donna accusata per le troppe le incongruenze nella sua ricostruzione dei fatti, non ha convinto gli investigatori. Il processo mediatico anticipa quello in tribunale? Una riflessione
Santa Croce Camerina

Santa Croce Camerina, provincia di Ragusa, 29 novembre. Loris Stival, un simpatico bambino di 8 anni, viene dichiarato scomparso. La madre Veronica afferma di averlo accompagnato regolarmente a scuola. Ma all’uscita, di suo figlio, non ci sono tracce.

Vengono allertate le forze dell’ordine e, immediatamente, scattano le ricerche. In tanti, in questo paesino di poco più di 10 mila anime, si mettono alla ricerca del piccolo scomparso. Si teme il peggio e, purtroppo, i timori si avverano.

Il corpo senza vita del piccolo Loris, bello e sorridente nelle foto postate dalla madre Veronica su Facebook, viene ritrovato ben presto in un canalone. A individuarlo è un cacciatore, Orazio Fidone: un anziano signore con un bel paio di baffoni e un cappellone calcato sulla testa. Su di lui si concentrano inizialmente le indagini e in un attimo la sua vita è spiattellata su giornali e social network.

Viene guardato con sospetto dai suoi concittadini. Per tanti, in poche ore, diventa “il” mostro. Vengono perquisiti la sua auto, la sua casa e un suo casolare, ma il cacciatore ha un alibi, così le indagini si spostano. Per tutti torna ad essere un uomo per bene, ma Fidone riuscirà mai a dimenticare i sospetti, le accuse, i dubbi di amici e conoscenti? Riuscirà ancora, in futuro, ad aiutare chi è in difficoltà, anche a rischio di essere accusato di aver commesso un reato gravissimo?

Le indagini degli investigatori, comunque, si concentrano su Veronica, la madre di Loris. La donna viene riascoltata tante e tante volte e ogni volta nelle sue ricostruzioni si riscontra una nuova incongruenza.

Martedì 9 dicembre. Veronica Panarello viene fermata per omicidio e occultamento di cadavere. La mattina in cui Loris è stato ucciso,  la sua auto è stata vista passare nei pressi del canalone dove è stato ritrovato il corpo. Un luogo in cui, in precedenza, la donna aveva detto di non essere stata. Un nuovo indizio, che sommato agli altri (il possesso di fascette da elettricista compatibili con quella usata per strangolare Loris, le bugie sul fatto di averlo accompagnato a scuola, quando invece il bambino era rimasto a casa), hanno spinto il giudice a predisporne il fermo.

Veronica Panarello, tuttavia, continua a professarsi innocente e chiede a gran voce che le venga restituito il corpo del figlio, ancora a disposizione dell’autorità giudiziaria. Un corpo con i segni della sofferenza: sui polsi, che erano stati legati, e sul collo.

Nel suo paese, però, come in tutta Italia, sono (quasi) tutti d’accordo: è lei l’assassina. Immediatamente, si fa il parallelo con il caso Franzoni. Si parla della giovinezza travagliata di questa giovane madre, delle sue difficoltà familiari. Si diffondono dati intimi, riservati. Ma non c’è un codice deontologico che impone il rispetto della privacy? Ma non c’è qualcuno che questo diritto dovrebbe tutelarlo?

Del resto, forse giova ricordarlo, in Italia esiste la presunzione di innocenza che va rispettata fino al terzo grado di giudizio. Forse, allora, sarebbe il caso di rispettare il dolore di questa donna – sì, il suo dolore – e quello degli altri familiari, senza contribuire a dilaniare una famiglia già provata dalla sofferenza.

E se anche lei fosse davvero l’assassina, meriterebbe ancora rispetto e silenzio. Perché una madre non uccide coscientemente il proprio figlio. E se davvero lo fa, allora, come spiegano gli esperti, forse ha bisogno di aiuto. Non solo. In molti casi la mente provvede pietosamente a cancellare l’accaduto, perché – come già successo – una persona che ama il suo bambino non riuscirebbe a sopravvivere se ricordasse di aver commesso una simile violenza.

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