L’omaggio di Toni Servillo a Napoli

Al Teatro Argentina di Roma, e poi a Cesena, Benevento e Taranto, Toni Servillo legge Napoli, dando corpo ai mille volti della sua terra attraverso le parole di famosi scrittori e drammaturghi
Toni Servillo

Che Toni Servillo sia l’attore più acclamato del momento, per la sua indiscussa bravura sia davanti alla macchina da presa che sulle assi del palcoscenico, non ci sono dubbi. Chi lo ha scoperto al cinema corre al teatro sicuro di non rimanere deluso, come accade spesso quando il teatro viene vissuto come protesi del successo televisivo o cinematografico. Dichiarava, tempo fa, che le lusinghe certamente gli fanno piacere, ma che la sua dimensione resta quella di uno che si mette in discussione ogni sera sul palcoscenico, creandosi difficoltà e inciampi.

Come quelli linguistici in Toni Servillo legge Napoli, performance in cui per novanta minuti egli dà corpo e voce ai testi degli autori che hanno fatto la storia del teatro e della letteratura napoletana. Istrionico sulla scena e debordante quanto serve, sempre al servizio della parola. Qui di poeti, scrittori e drammaturghi. Di grandi napoletani. Lo spettacolo è un omaggio alla sua terra, Napoli, città di mille volti e contraddizioni, dove convivono vitalità e disperazione. Un viaggio nelle parole, da Di Giacomo a Viviani, da Eduardo a Moscato, dove «oltre la lingua – dichiara Servillo – il filo rosso è il rapporto speciale, caratteristico di tantissima letteratura napoletana, con la morte e con l’aldilà, il commercio intenso e frequente con le anime dei defunti, i santi del Paradiso e Dio stesso».

Il mondo a cui dà vita è frutto di immedesimazione, di osservazione di modelli di comportamento, di linguaggi, di modi. Insomma, di osservazione della vita. «Ho scelto questi testi – rivela ancora Servillo – perché ne emerge una lingua viva nel tempo, materna ed esperienziale, che fa diventare le battute espressione, gesto, corpo». Nell’affrontare la sostanza verbale di dieci testimoni della città, nel passato e nel presente, offre, attraverso emblematici scritti, il quadro sintetico di una realtà impietosa ai limiti del paradosso, tra pulsioni e pratiche, carne e sangue.

Ne emerge una fuga dalle icone più obsolete della napoletanità, ma insieme un bisogno perentorio di non rinunciare a un’identità sedimentata da quattro secoli di letteratura. Accanto a poemetti ormai considerati fra i grandi classici del Novecento, come Lassamme fa’ a Dio di Salvatore di Giacomo e De Pretore Vincenzo di Eduardo de Filippo, due liriche di Ferdinando Russo, A Madonna d’e mandarine e E’ sfogliatelle,  e l’attualissima Fravecature di Raffaele Viviani.

Servillo prosegue dando voce alla sanguigna e veemente invettiva de A sciaveca di Mimmo Borrelli, in quel verso plebeo che si pratica nella zona Flegrea. Il titolo si riferisce a una rete da strascico usata per la pesca, che porta a galla un guazzabuglio limaccioso, il cui termine ha assunto una connotazione dispregiativa per apostrofare la sciatta dissolutezza di una persona. Rimanendo alla lingua contemporanea segue quella colta e allusiva di Enzo Moscato con Litoranea, tagliente riflessione sulle contraddizioni e sul degrado di Napoli che, nel 1991, costituiva il finale di Rasoi, spettacolo-manifesto di Teatri Uniti, diventato anche un film.

Assolutamente inedite e composte per la circostanza sono ’O vecchio sott’o ponte di Maurizio De Giovanni, a raccontare l’inumano dolore per la perdita di un figlio, e Sogno napoletano di Giuseppe Montesano, in cui, dichiarata la dimensione onirica, l’apocalisse lascia il passo a un salvifico, auspicato, risveglio delle coscienze. Entrambe si infrangono nella successiva sequenza, aspra e feroce, di Napule, crudo ritratto della città scritto ancora da Mimmo Borrelli come una litania, che l’attore declama con una velocità mozzafiato. Per concludere con la celebre A livella di Totò, Primitivamente di Raffaele Viviani,  la discesa sotterranea di Nfunno di Eduardo, e Cose sta lengua sperduta di Michele Sovente. E la sorpresa di una canzone che chiude il trionfo di una memorabile serata.

Al Teatro Argentina di Roma fino al 26 febbraio. Quindi a Cesena, Benevento, Taranto.

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