Logge massoniche in Parlamento
Il 3 agosto, ultimo giorno dei lavori di Camera e Senato prima del rituale mese di ferie, la Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno delle mafie, presieduta dalla deputata Rosy Bindi, ha iniziato la serie delle convocazioni delle maggiori organizzazioni massoniche italiane per approfondire la questione delle cosiddette “massomafie” o “massonerie deviate”, citate in diverse inchieste giudiziarie e nelle dichiarazioni dei magistrati. Da Roberto Scarpinato, procuratore generale presso la Corte d'appello di Palermo, a Nicolò Gratteri, procuratore della Repubblica a Catanzaro.
In particolare Rosy Bindi ha fatto riferimento «a quanto emerso in occasione della missione recentemente svolta dalla Commissione a Trapani in merito all'appartenenza alla massoneria di alcuni assessori di Castelvetrano, in provincia di Trapani, luogo di origine di Matteo Messina Denaro» dove esiste «la più grande concentrazione di logge massoniche in rapporto alla popolazione di qualunque parte del nostro Paese».
Dietro sua esplicita disponibilità, il primo ad essere ascoltato nella seduta agostana della Commissione è stato Stefano Bisi, che ricopre il ruolo di “gran maestro del Grande Oriente d’Italia” ed è citato spesso per aver coniato l’espressione “groviglio armonioso” per definire il sistema che aveva governato la sua città, Siena, fino alla crisi della banca Monte Paschi. Il termine si presta a diverse interpretazioni e, invece, come ribadito a Lettera43, Bisi voleva descrivere un modo di vivere «in una città dove tutti si conoscono e tutti collaborano per il bene comune». Anche il resoconto stenografico della seduta del 3 agosto si rivela di grande interesse per l’abilità dialettica del responsabile di quel che definisce una «comunione massonica presente in tutta Italia con 23.052 fratelli all'anagrafe, oggi presenti in tutto il territorio nazionale, divisi in 850 logge» attive in diverse opere umanitarie, dalla cura odontoiatrica ai bisognosi fino all’accoglienza dei migranti. Molto noti, e rivendicati con orgoglio, i nomi degli iscritti che appartengono alla storia, come ad esempio Enrico Fermi e Salvatore Quasimodo o, anche, Enzo Marchi, il veterinario che inventò la razza bovina “chianina” per «dar da mangiare la carne ai poveri».
Secondo Bisi, che pone le origini della massoneria negli antichi costruttori di cattedrali, «il libero pensiero di cui siamo portatori è un antidoto alla mafia». Resta, tuttavia, la contrarietà a rendere pubblici gli elenchi dei membri attuali delle Logge. Il referente del Grande Oriente d’Italia ha rivendicato il diritto alla riservatezza e si è spinto fino a fare paragoni con i tesserati dei partiti, insistentemente a partire da quello democratico, che non sono anch’essi pubblici. Nel caso dei massoni, il “gran maestro”, ha citato come esempio «i cosiddetti bovi della misericordia che portavano un cappuccio nero perché facevano del bene» senza volersi mettere in mostra. Alla fine della lunga audizione, Rosy Bindi ha, comunque, intimato la consegna degli elenchi preannunciando, in tal senso, una richiesta ufficiale.
L’intenzione della Commissione è quella di capire l’atteggiamento tenuto dalle organizzazione regolari della massoneria verso i “fratelli” che deviano. La questione è rilevante perché, come ha spiegato sempre la Bindi, «oggi le organizzazioni mafiose stanno cambiando profondamente il loro modo di agire e, oltre che continuare a praticare la violenza e il malaffare, riescono a stabilire anche relazioni e rapporti con poteri politici, economici, finanziari e amministrativi, tutti settori nei quali molti dei vostri fratelli sono in prima linea e dei quali sono esponenti di prestigio. Sicuramente ci sono anche alcuni grandi nomi iscritti oggi alla Loggia che sono in prima linea nelle banche, nelle imprese e nella pubblica amministrazione. Se la mafia di oggi si fa forte delle relazioni con questa classe dirigente del nostro Paese, la massoneria dovrebbe essere in prima fila a fare da diga perché le mafie non entrino nelle banche e non interloquiscano con i poteri finanziari, con la pubblica amministrazione e con gli imprenditori. Che cosa state facendo?».
Sulla questione “massomafie” si è registrato a luglio un vivace pubblico scambio di lettere tra lo stesso Bisi e il direttore di "Avvenire" Marco Tarquinio, perché il quotidiano ha pubblicato un articolo firmato da Davide Imeneo che parla di una «definitiva conferma dell’esistenza di una struttura di tipo massonico interna alla ’ndrangheta» che arriva dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Cosimo Virgilio: «’Ndrangheta e massoneria si sono associate per condizionare non solo gli appalti ma anche il mercato del lavoro, le istituzioni, la politica».
Alla protesta del “gran maestro” di palazzo Giustiniani (sede storica del Grande Oriente a Roma), che reputa «inaccettabile il fatto che venga coniato un termine “massomafia” che marchia in modo infamante e totalmente falso una istituzione che con la mafia non ha nulla da spartire», ha risposto il direttore Marco Tarquinio con particolare nettezza, invitando l’esponente della massoneria a «indignarsi per ben altro e cioè per la verifica da parte della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria del collegamento strutturale tra i gruppi malavitosi che gli atti dell’inchiesta "Fata Morgana" (maggio 2016) definiscono la "’ndrangheta militare" e la "’ndrangheta massonica" illustrandone l’interazione a partire dalla fine degli anni 70 del secolo scorso. Parole e concetti che ricorrono decine di volte negli atti e anche in un illuminante video del Ros dei Carabinieri visibile su internet». Per il direttore di "Avvenire", «"aberrante” non è il termine “massomafia” ma la realtà di comitati d’affari e di intrecci tra logge e ’ndrine (o cosche o clan) che esso descrive. Una realtà criminale che non dubito sia diversa dalla massoneria che lei (Bisi, ndr) rivendica con orgoglio di rappresentare, ma che purtroppo esiste e inquina da gran tempo e in diverso modo la vita del nostro Paese».
Sulla delicata e controversa questione di “Massoneria e potere” che attraversa inevitabilmente l’ambito politico, la rivista Città Nuova ha pubblicato un lungo articolo di approfondimento sul numero 5 del 2016.