L'”odore di stalla” della Chiesa dell’Alto Adige

Il più giovane vescovo d’Italia, Ivo Muser, racconta la sua diocesi alle prese con un nuovo Sinodo e nuove sfide tra ricerca di identità e di unità
Ivo Muser

Gli uffici dai muri gialli della diocesi di Bolzano‒Bressanone sono accanto al Duomo, un edificio gotico dal tetto ocra, nero e verde dedicato a Santa Maria Assunta e terminato nel XV secolo. La neve cade copiosa, ma la temperatura non sembra così rigida. Ivo Muser, il vescovo più giovane d’Italia, dal 27 luglio 2011 ha sostituito Karl Golser, dimessosi per la crescente infermità di una malattia degenerativa. La sua accoglienza è calda, amichevole. È una persona schietta, che dice quel che pensa con calma, in modo chiaro e semplice.

Com’è la situazione della Chiesa altoatesina?
«In Alto Adige il 90 per cento della popolazione è cattolica, ma la società sta cambiando con la presenza di nuove culture e religioni. Se teniamo conto delle aspettative medie di vita nei prossimi 7,8 anni, circa 100 sacerdoti non ci saranno più, perché l’età media del clero diocesano è di 69 anni. Anche la famiglia è diventata molto più fragile a causa delle separazioni e dei divorzi. Cala anche la percentuale dei fedeli che frequenta regolarmente i sacramenti. Non c’è un clima ostile, ma una certa indifferenza».

Qual è l’importanza di indire un Sinodo diocesano dal titolo: “Insieme per il futuro”?
«È importante il fatto in sé, che la popolazione parli della Chiesa, della fede e che i 259 padri sinodali parlino francamente affrontando le nuove sfide della società. Prima viene l’ascolto, dopo verrà il dialogo. Vedo una Chiesa che cambia e sono all’inizio del mio incarico. Vorrei confrontarmi, mettermi in cammino con tutto il popolo di Dio. Alla fine i padri sinodali dovranno trovare delle sinergie e canalizzare le energie».

Papa Francesco invita la Chiesa a trovare nuovi linguaggi e forme nella comunicazione del messaggio evangelico?
«La Chiesa non è fine a sé stessa, non è autoreferenziale, ma vogliamo riscoprire la dimensione missionaria. Non vogliamo essere più potenti o più influenti, vogliamo avere un nuovo atteggiamento, scoprire le periferie, per portare il messaggio più bello».

Esiste un’identità particolare della Chiesa dell’Alto Adige?
«Il nostro “odore di stalla” specifico è l’identità nella diversità. Non ci sono solo i tre gruppi linguistici principali: tedesco, italiano e ladino, ma le lingue e le culture dei vari immigrati. Dobbiamo riscoprire la nostra identità, salvaguardandola e, allo stesso tempo, vedere nelle altre culture una ricchezza».

La Chiesa ha dato un contributo a favore della convivenza?
«Sin dagli anni Sessanta la Chiesa ha dato un grande contributo, orientando la popolazione verso l’unità nella diversità e ci sono stati passi notevoli nella volontà di convivere. La creazione dell’Alto Adige è frutto di fatti storici e di scelte politiche, ma mi auguro che tutti si sentando sudtirolesi. Gli abitanti di madre lingua tedesca hanno forti tradizioni e radici, gli italiani sono arrivati da varie regioni e sono ora giunti alla terza generazione. Sono politicamente troppo divisi, ci sono troppi partiti, trovando delle sinergie avrebbero più peso nella società».

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