L’oblio attivo
Il perdono tende a spezzare il circolo vizioso della violenza.
L’autentico perdono, nel suo nucleo essenziale, è quello illimitato e incondizionato. Perciò si dice di perdonare «settanta volte sette»: non è tanto la quantità, ma la qualità (diremmo la profondità) del perdono a farne addirittura una delle pre-condizioni della “comunità”. È presente in quasi tutte le culture il racconto di un momento di “rottura” (a volte si tratta di omicidio o persino di fratricidio), al quale i gruppi umani pensano di dover rispondere con un gesto uguale e contrario, con una “vendetta” sociale. Basti pensare alla struttura di molte tragedie greche.
Già nel Vecchio Testamento si narra del “segno” che Dio pone sulla fronte di Caino: l’assassinio di Abele non dovrà essere a sua volta ucciso da altri uomini. Il perdono tende dunque a spezzare il circolo vizioso della violenza, anche quella di natura più “sottile” e quotidiana. Ad esempio, quella che si concretizza nell’atto di “levare il saluto” al vicino, al collega, all’amico che ci ha traditi. Negare all’altro l’ordinario rito del saluto è un fatto più grave di quello che a prima vista può apparire: è un modo per “espellere” l’altro dal circuito delle relazioni, è una sorta di verdetto arbitrario di esclusione dell’altro dalla comunità.
Oltre al piano personale, c’è poi quello più ampio delle “ferite” prodotte da conflitti sociali, inter-etnici, tra culture. Pensiamo, ad esempio, alle varie “commissioni per la verità e la riconciliazione” che sono state create in molti Paesi dell’America Latina e dell’Africa a seguito di gravi crisi politico-istituzionali o di vere e proprie guerre civili. Alcune di queste commissioni hanno puntato non solo sulla ricostruzione delle responsabilità, ma anche su due concetti fondamentali: “guarigione” e “riconciliazione”. Come dire che la parte della società che è stata vittima o autrice di crimini contro i diritti umani è come se fosse malata, e quindi è necessaria la sua guarigione sociale. L’ottica della riconciliazione è diversa da quella del perdono.
Il perdono è prevalentemente un fatto privato, ma senza perdono non si può avere vera riconciliazione, che deve necessariamente avvenire tra più persone che “si perdonano” a vicenda. Perdonando, non annulliamo la memoria di fatti e circostanze (anche storiche e politiche). Il filosofo Paul Ricoeur parlava di “oblio attivo”: il passato delle divisioni e dei contrasti non deve mai condizionare il nostro presente di (ri)costruttori di unità.