Lobby, sovranisti e buona politica
Nell’ultimo saggio pubblicato con l’editrice Il Mulino, “La buona politica”, il professor Paolo Pombeni ha indicato la necessità di «rivendicare una funzione alta della politica» partendo dal riconoscimento della propria collocazione in una «comunità di destini» e dall’elaborazione di «un patto che ci lega».
Punti base di quel «costituzionalismo democratico» messo in pericolo, secondo l’autorevole politologo, dalla situazione attuale che sembra «una palude di utopie e ideologismi a buon mercato». Cercando di entrare nel merito delle questioni, a partire delle prossime elezioni europee, abbiamo posto alcune domande a Pombeni, che ci ha risposto con l’abituale franchezza.
Si può continuare a parlare di Unione europea solo ricordando l’origine del progetto senza prendere atto della situazione attuale dove sembra ormai di senso comune il predominio dell’Europa delle lobby e dei banchieri?
La “narrazione” dell’Europa Unita deve essere necessariamente rivista rispetto alle origini, quando essa nacque nell’ambito della convinzione che solo “grandi agglomerati” potevano avere un ruolo decisivo nella storia del mondo. Sembrava confermarlo guardare ai vincitori della II Guerra Mondiale sia per il dominio di USA e URSS, sia per il progressivo declino della Gran Bretagna (nonostante il Commonwealth). Per un lungo periodo ciò è stato confermato dal fatto che un ampio “mercato comune” ha significato ricchezza e sviluppo per quella parte di Europa che si univa.
Cosa è cambiato nel frattempo?
È ormai un trentennio che la situazione è cambiata, sia sul fronte geopolitico (scomparsa dell’URSS, affermarsi di Cina e India per citare solo i casi maggiori), sia sul fronte dello sviluppo con la crisi nell’Europa Occidentale e impossibilità di trasferire automaticamente lo sviluppo nei nuovo Paesi dell’Est frettolosamente inglobati dopo il crollo del Muro.
Con quali conseguenze?
In base a questa trasformazione di orizzonti si è instaurata l’immagine di un’Europa fatta a misura di lobby e banchieri, perché sembra che solo questi soggetti continuino a beneficiare degli “strumenti comunitari”. In realtà le cose sono più complesse, ma la mancanza di una “dirigenza politica” europea non ha reso possibile rivedere la narrazione tradizionale per di più lasciata in mano al ceto dei burocrati di Bruxelles.
Quali errori sono stati compiuti?
È mancata e continua a mancare una élite veramente europea che non provenga però strumentalmente dalle ristrette cerchie dei tradizionali ambienti intellettuali nazionali (coi loro media) e che sia in grado di incarnare il cammino verso l’evoluzione dell’Europa nei tempi nuovi. Ovviamente i gruppi dirigenti politici non hanno nessun interesse a favorire il sorgere e l’affermarsi di queste élite che toglierebbero potere a loro.
La nascita del governo Monti nel 2011 può essere definito un sorta di golpe della Ue? Non c’è stata una perdita di sovranità con conseguente disillusione?
Il governo Monti non nasce da un golpe europeo, ma solo dalla prevedibilissima contingenza che quando si è in un “sistema” (europeo) è impensabile che altri membri di esso consentano ad uno di andare a fondo coinvolgendoli inevitabilmente. I gruppi dirigenti europei non hanno scelto Monti, si sono limitati a mettere in chiaro che non si poteva consentire a Berlusconi di procedere allegramente verso il baratro.
Non c’è sta quindi una imposizione di fatto dall’alto?
L’Italia avrebbe potuto scegliere anche altre soluzioni perché manteneva la sovranità per farlo. Si scelse la via di affidarsi ad un personaggio che aveva una credibilità a livello europeo (cosa che serviva molto) senza chiedersi troppo se il dottore che doveva somministrare una medicina amara oltre ad avere le competenze tecniche avesse anche l’umanità e la capacità di leadership per gestire un’impresa tanto difficile.
L’esperimento del professor Monti è, tuttavia, durato poco…
La disillusione verso la sua esperienza dipende dal fatto che Monti, conclusa la sua prestazione come uomo dell’emergenza, abbia puntato (consigliato molto male: e questo è un capitolo che non include solo la sua responsabilità) sia a costruirsi una equipe di governo in cui mancavano gli uomini capaci di trascinarsi dietro la fiducia pubblica, sia a perpetuare il suo ruolo con una raccogliticcia formazione politica (Scelta civica, ndr) il cui insuccesso era evidente sin dall’inizio. La mancata “tesaurizzazione” di una politica di emergenza ha portato poi a un declino sempre più evidente, che certo non poteva essere salvato con le “alzate d’ingegno” di questo o quel leaderino venuto dopo.
Quale esigenza si sente di indicare per le prossime elezioni europee?
La prima necessità per le prossime elezioni sarebbe avere una rappresentanza italiana con almeno un gruppo consistente di persone in grado di inserirsi con autorevolezza nelle complicate e rischiose dinamiche che si apriranno a livello comunitario.
Come stanno procedendo, in questo senso, i partiti?
L’impressione è che, salvo qualche eccezione, tutti i partiti puntino invece a combinare logiche di tipo “teatrale” (cercarsi i personaggi che attirano più audience) con calcoli di equilibri interni. Il problema è che è velleitario pensare che sia possibile presentarsi con “progetti” che vadano al di là di slogan che vogliono dire tutto e niente (più Europa dei popoli, no all’austerità, e roba simile).
Mentre, come avvertono in tanti, il sistema dell’Unione europea è arrivato ad un punto cruciale…
La ridefinizione del “sistema UE” che ci sarà, dipenderà da una complicata e lunga dialettica fra il Consiglio, dove dominano i governi in carica, la Commissione (e qui si dovrà vedere come vengono spartite le cariche a cominciare da quelle dei due Presidenti) e infine, per quel poco che conta, il Parlamento, considerato però insieme alle tensioni che dominano le opinioni pubbliche nei 27 Paesi (escludendo la Gran Bretagna in posizione di sopsensione per la trattativa sulla Brexit in corso, ndr) . Il tutto, ovviamente, tenendo conto costantemente di quel che avverrà nel farsi concreto della storia del mondo. Ecco perché serve gente che sappia “stare in partita”, sostenuta da centri di elaborazione autorevoli, assai più che “manifesti” che lasciano il tempo che trovano.
Ci sono possibilità di una maggioranza sovranista nel prossimo Parlamento europeo?
È bene intendersi circa il sovranismo. Se con questa etichetta si intendono i partiti della nuova destra che agitano questo vessillo, non credo che al di là di qualche successo incrementale saranno in grado di egemonizzare il nuovo Parlamento. Faranno un po’ di confusione, e questo non va sottovalutato, ma non credo molto di più. Se invece per sovranismo intendiamo propriamente la nuova tendenza dei gruppi al governo in tutti i Paesi membri a porre i propri ristretti orizzonti nazionali al di sopra degli interessi comuni, a lisciare il pelo alle proprie opinioni pubbliche spaventate dalle trasformazioni in corso, a puntare ciascuno a capitalizzare i suoi poteri di veto, beh, allora è un altro paio di maniche: quel sovranismo sta già dispiegando le sue forze e sta già facendo danni, né c’è da pensare che dopo il 26 maggio cambierà direzione.