Lobbismo e istituzioni

La figura del faccendiere, ritenuta cinicamente indispensabile al funzionamento di uno Stato è frutto di ambizioni che nulla hanno a che fare con il bene comune
Portaborse

Faccendiere è lo spregiativo per lobbista, che già di per sé non suona onorevole in un clima di ipocrisia perbenista. Sta di fatto che il potere italiano, per funzionare, sta da sempre con un piede nelle regole e con un piede fuori. E la società italiana, sempre per poter funzionare, fa lo stesso”. Questo l’incipit di un articolo di Giuliano Ferrara, da cui, per l’indiscutibile autorevolezza, si può prendere le mosse per una riflessione sull’ennesimo caso italiano.

 

Ferrara introduce con quelle frasi un ritratto di Luigi Bisignani, il destinatario del provvedimento di custodia cautelare emesso dalla magistratura napoletana che ha fatto strillare a testate varie che “il Palazzo trema”. Come mai? Chi è questo Luigi Bisignani da far tremare il Palazzo: un parlamentare, un sottosegretario, un grand commis… insomma, un “uomo delle istituzioni”? No, è un “lobbista”, cioè secondo Ferrara una figura indispensabile per far funzionare “il potere italiano”.

 

Cerchiamo di capire. Da alcuni decenni Luigi Bisignani si muove tra cronaca e storia nelle pieghe della vita pubblica. I nostri figli apprenderanno il suo nome nei libri di storia perché è stato lui ad aprire presso lo IOR, la “banca” vaticana, il conto numero 001-3-16764-G intestato "Louis Augustus Jonas Foundation-Aiuto ai bambini poveri", sul quale transitano svariati miliardi delle vecchie lire, provenienti dalla maxi tangente Enimont, quella detta “la madre di tutte le tangenti”. Giovanissimo, lavora nel mondo della comunicazione all’ombra di personaggi della P2: il ministro Gaetano Stammati e Licio Gelli in persona, per il quale curava la rassegna stampa quotidiana. Assurge agli onori delle cronache perché compare egli stesso negli elenchi di Castiglion Fibocchi come il più giovane iscritto alla loggia P2 (ma smentirà l’affiliazione). La vicenda Enimont gli procura una condanna a due anni e sei mesi che, divenuta definitiva, gli costa la radiazione dall’albo dei giornalisti. Qual è il suo lavoro? È vice presidente esecutivo del gruppo Ilte, che tra l’altro stampa gli elenchi telefonici, le Pagine Gialle e, grazie ad una società con Poste Italiane, anche tutte le bollette.

 

Ma non è (solo) il reperimento di commesse per la società per cui lavora, la ragione della sua presenza nel sottobosco politico-istituzionale. Egli ha la capacità (cioè il potere) di interferire nella vita pubblica dello Stato in quanto consigliere (ufficioso, naturalmente, ma effettivo) di figure istituzionali di altissimo livello. Innanzitutto, il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri Gianni Letta. Il loro legame non può essere smentito, giacché è notorio, come la consuetudine della frequentazione. Pur non svolgendo alcuna funzione ufficiale, tanti negli ambienti del Palazzo sanno che si poteva essere indirizzati a Bisignani per le questioni più svariate, dalla stampa di un volume ad una promozione. Ora le indagini della procura di Napoli aggiungono che a Bisignani faceva capo un network impegnato ad acquisire informazioni riservate, meglio se segrete, relative addirittura all’azione inquirente di alcune procure.  

 

Ma cosa c’è di strano davvero in queste notizie? Non è il solito lobbismo conosciuto ai governi di ogni colore, destra, sinistra, centro? Per rispondere, bisogna fare una scelta di campo e decidere se, sulla scorta di Giuliano Ferrara, possiamo rispondere che questo “lobbismo” è una attività lecita o para-lecita, addirittura necessaria per il funzionamento dell’intero sistema; oppure possiamo pensare che quel milieu di intrighi ed interessi tramuta le istituzioni e la pubblica amministrazione in una pianta assediata da parassiti.

 

Se la realpolitik che scivola verso il cinismo, di stampo “ferrariano”, non ci appartiene, allora la prima cosa da rigettare è proprio la banalizzazione del “è stato sempre così… anche il governo Prodi aveva i suoi faccendieri…”. Probabilmente è vero, ma non rende sano ciò che è malato. E soprattutto insidia un elemento di grande consenso di cui ha goduto la maggioranza in carica, Lega in testa ma senza dimenticare la novità costituita dallo stesso Berlusconi. E questo elemento è la “alterità” rispetto alla politica “professionale”, additata come tratto caratteristico del vecchio sistema e di cui la sinistra rappresenta una continuità. Purtroppo invece la vicenda porta a galla un filo rosso che riconduce ai tempi dei fasti andreottiani, quello del potere che “logora chi non ce l’ha”. Più compiutamente, ha qualche ragione chi vede una riedizione in tono minore del CAF, l’acronimo di Craxi-Andreotti-Forlani, con cui si denominò lo scorcio della cosidetta Prima Repubblica.

 

Certo, si può sostenere tutto ciò solo se si pensa che queste inchieste abbiano un rilievo almeno politico (l’ambito penale compete ai magistrati e non è possibile essere in possesso di tutti gli elementi necessari a farsi un’opinione). Se viceversa si pensa che sia il solito attacco della magistratura contro il governo e che dietro ci sia il “nulla”, allora la valutazione, certo, muta.

 

Ma qualcosa di davvero poco istituzionale emerge dagli atti. Tra tutte, colpisce la procedura di selezione dei parlamentari. Lo stesso Sottosegretario Letta ammette di aver segnalato al Presidente Berlusconi, alla vigilia delle elezioni politiche del 2008, “le ambizioni politiche” del magistrato Papa, puntualmente divenuto deputato.

È davvero deprimente pensare che si guardi agli scranni di deputato o senatore per rispondere alle “ambizioni politiche” personali di qualche gallina bianca o come uno scudo contro le incursioni giudiziarie (questo argomento è usato in questi giorni a difesa di Letta, che parlamentare non è e quindi “ha rinunciato alla immunità parlamentare”). Un altro spaccato sulle terribili devastazioni prodotte da questa legge elettorale.

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