Lo stuntman e lo psicologo
I film proposti per il weekend sono Drive e A dangerous method. Analisi di due mondi: il dietro le quinte di un set e la Vienna di Freud
La nostra proposta per questo weekend.
Drive
Miglior regia al festival di Cannes 2011, e giustamente. Il film di Nicolas Winding Refn è infatti più di un noir notturno e violento, dove si racconta di Driver, stuntman e meccanico, ma anche disponibile, grazie alla sua eccellenza di autista, a farsi ingaggiare come “driver” nelle rapine.
Driver è un giovane silenzioso, si esprime a motti rari e a sguardi fermi, resta un individuo misterioso e solitario. Quest’uomo non sarebbe capace di violenze se non si trovasse suo malgrado coinvolto in affari di mala. L’amicizia spontanea che crea col bambino della sua vicina di casa, Irene, è la spia di una persona rimasta ancora capace di innocenza, ma costretta dalla vita a “dimenticarla” ed oltrepassarla.
Ed è qui che nel film scatta la dimensione della metafora, cioè del racconto morale di come oggi per gli uomini sia impossibile rimanere “puri” e capaci di cogliere fino in fondo il fiore dell’amore. Il bacio che Driver si scambia con la vicina Irene (Carey Mulligan), furtivo e inaspettato, vale più di tante descrizioni di momenti d’amore cui il cinema spesso indulge. Questo regista invece procede per sottrazione. Di parole, di luci, di silenzi lunghissimi.
Il finale non è consolatorio, perché sembra che il sangue – su cui forse si insiste troppo – abbia l’ultima parola. Come a dire l’impossibilità dell’amore e della serenità all’uomo d’oggi. La sequenza in cui Driver ferito sparisce in macchina porta al pensiero di un viaggio verso un dove che non si conosce: la morte, un nuovo tipo di vita?
Valida l’interpretazione di Ryan Gosling, ma anche la regia di un racconto che mette in fibrillazione lo spettatore non tanto e solo per le violenze, ma per il clima di dolore freddo che sta al di sotto, e di quella vita sempre sul punto di essere goduta e tristemente mai del tutto raggiunta. Anche se Driver uno scopo riesce ad ottenerlo: salvare dalla morte il suo amore lontano, Irene, e quel piccolo innocente in cui forse aveva ritrovato sé stesso.
A Dangerous Method
Basta mettere insieme tre attori eccellenti (Michael Fassbender, Viggo Mortensen, Keira Knightley) per produrre un film altrettanto eccellente, come ha pensato David Cronenberg? Non basta, ovviamente. La storia a tre di Freud, Jung e Sabina – che si frammette tra i due studiosi – è stata già raccontata, in vario modo (per esempio, dal nostro Roberto Faenza, in Prendimi l’anima). Qui si offre in un lavoro raffinato, costumi e scene d’epoca, esterni viennesi suggestivi fotografati in modo da renderli quanto mai vividi.
Il regista, lo si nota bene, propende per Jung, forse Freud gli sta antipatico. Molto parlato e spiegato per il grande pubblico, dà il sospetto, quasi, di essere un film su commissione. Tanto è perfetto, diremmo laccato. Un prodotto di lusso, da un regista stavolta di grande mestiere. Ma che non suscita particolari emozioni, o piuttosto, non offre un approfondimento reale su una storia risaputa, ma ancora con alcuni risvolti poco chiari.