Lo sport è gioia

Nella mia carriera ho provato gioia ogni qualvolta sono riuscito a migliorarmi, sia che si trattasse di fare un semplice esercizio per aumentare la forza o la resistenza, sia che realizzassi un miglioramento cronometrico in barca. Ho gareggiato in tre Olimpiadi arrivando due volte quarto ed una quinto, sempre ad un passo dal podio. Ma non ho mai pensato di non aver vinto la medaglia. Pensavo invece: io ho vinto! C’è l’ho messa tutta: gli altri sono stati più bravi di me. Sapevo in coscienza di averci provato con tutte le mie forze, e questo era sufficiente per rendermi veramente felice. Basterebbero queste parole, pronunciate con un velo di commozione da Oreste Perri, attuale commissario tecnico della nazionale italiana di canoa ed indimenticato campione azzurro, per spiegare chiaramente il forte legame tra attività motoria, sport e felicità. Proprio l’analisi di questo legame è stato il tema di Sport & Joy – Con lo sport autentico corre la gioia, il terzo congresso internazionale, svoltosi a Trento, organizzato da Sportmeet, la rete mondiale di sportivi, operatori e professionisti, che vivono lo sport come occasione importante di confronto con se stessi e con gli altri e come strumento per la costruzione della fraternità universale. E che, quindi, intendono lo sport anche come occasione di gioia. Al congresso, svoltosi nell’ambito delle iniziative dell’Anno internazionale dello sport e dell’educazione fisica, indetto dall’Onu per il 2005, e sotto il patrocinio dell’Unesco, ne hanno parlato sociologi ed economisti, psicologi e pedagogisti. Ma anche atleti, tecnici, insegnanti di educazione fisica e tanti altri professionisti che operano nello sport. Un’occasione per riflettere insieme, scambiarsi testimonianze ed esperienze, condividere ed elaborare progetti. È stata la sociologa brasiliana Vera Araujo ad aprire i lavori del meeting con un intervento su società globale e felicità. Nella società globale in cui viviamo, tutti sembrano condannati a rincorrere la felicità. La si cerca nell’appagamento del desiderio di possedere beni materiali, la si cerca nel successo, nell’ebbrezza della carriera, dell’applauso, dello status sociale. Ma oggi, a ben guardare, sono proprio le società che offrono più benessere quelle che consumano più ansiolitici e psicofarmaci. Esiste allora la possibilità di trovare una felicità autentica? In campo sociologico sono sempre più numerose le ricerche e le riflessioni che portano ad affermare che la vera felicità nasce nel profondo di ognuno di noi, nella parte più intima e più sacra della nostra identità, e acquista tutta la sua portata nella condivisione. Lo sport è certamente un luogo privilegiato dove queste caratteristiche possono trovare accoglienza ed opportunità. Bart Vanreusel, sociologo dello sport di caratura mondiale, ha fatto rilevare che accanto alle categorie degli sportivi de coubertiniani, che riflettono l’etica competitiva vincente dello sport moderno, a quelli per stile di vita, ispirati ad una visione di uno sport per tutti e finalizzato al benessere, sta aumentando sempre più il numero degli sportivi sociali che vedono nello sport un mezzo per essere attivo cittadino, attento al sociale. Anche gli altri studiosi hanno messo in luce chiaramente che la felicità non è direttamente connessa a fattori esterni a noi stessi. Quali, ad esempio, il denaro. In economia si parla di paradosso della felicità – ha spiegato Luigino Bruni, economista e docente presso l’Università Bicocca di Milano -: numerosi studi, condotti in Europa come negli Stati Uniti negli ultimi trenta anni, hanno dimostrato che la felicità delle persone dipende molto poco dall’aumento del reddito, una volta soddisfatte le proprie necessità primarie. Ciò che sembra incidere maggiormente sulla gioia che ciascuno di noi può provare sono invece le motivazioni interiori. E lo sport è sicuramente tra le attività umane dove entrano più in gioco tali motivazioni, visto il piacere intrinseco che normalmente viene dal praticare un’attività sportiva. Concetti ribaditi anche dallo psicologo Pasquale Ionata, che ha sottolineato come tutta la ricerca psicologica è oggi orientata a vedere la felicità raggiungibile non tanto attraverso grandi ricchezze, bensì nell’attorniarsi di amici e familiari. La felicità è frutto di una scelta, di una decisione personale, ed il modo migliore per raggiungerla è, a mio parere, quello di… donarla. Ciascuno di noi, se prova a ricordare quali siano stati veramente, nella propria vita, i momenti di felicità, si accorgerà che sono stati quelli in cui ci siamo dimenticati di noi per gli altri. E quante occasioni offre lo sport in questo senso? Tantissime. Come ha ben evidenziato nel suo intervento Paolo Crepaz, giornalista e medico sportivo, medico della nazionale italiana di canoa, nonché coordinatore di Sportmeet. Ci sono tanti modi per arrivare alla autentica gioia attraverso lo sport. Dare ogni volta il meglio di sé, partecipare con gioia ponendo, come premessa, l’impegno personale. Non mollare mai, anche quando è difficile. Essere onesti con se stessi e con gli altri. Accettare una sfida, essendo tenaci nei momenti difficili, riuscendo a vedere anche nella sconfitta una chance. Avere un atteggiamento positivo con compagni e avversari, trattando tutti con rispetto. Essere consapevoli che certi obiettivi si possono raggiungere solo insieme. Si può essere insomma davvero felici se si prova a vivere, nello sport come nella vita, la regola d’oro presente in tutte le religioni e condivisa anche da persone con altre convinzioni. Tutto quello che volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro. Lo sport autentico valorizza tutto quello che contribuisce costruttivamente allo sviluppo armonioso dell’uomo, corpo e anima ha confermato Padre Kevin Lixey, spiegando così perché la chiesa sia interessata allo sport tanto da aver voluto l’apertura dell’ufficio Chiesa e Sport, di cui è responsabile all’interno del Pontificio consiglio per i laici. Dalle parole ai fatti. Sono stati i tanti atleti, di ogni livello, presenti per l’occasione, a dimostrare, attraverso la loro esperienza, quale sia davvero il senso più profondo da dare allo sport. Dal già citato Oreste Perri a Francesca Porcellato, paraplegica dall’età di due anni, che ha partecipato a cinque edizioni delle Paralimpiadi vincendo dieci medaglie: Per me fare sport è gioia, sempre, comunque. Da Antonella Bellutti, due volte campionessa olimpica di ciclismo, a Josefa Idem, canoista, la donna che nella storia dello sport azzurro ha vinto di più: Lo sport esasperato, che mira a successo e denaro, genera fenomeni brutti che solo uno sport vissuto a braccetto con la gioia può eliminare. Dall’alpinista Karl Unterkircher, guida alpina gardenese che ha conquistato in due mesi le due cime più alte del mondo (Everest e K2), a Marco Pinotti, ciclista profes- sionista: Lo sport mi ha dato valori e gioia, sono qui per testimoniarlo. Ma la gioia è veramente tale quando è donata: lo hanno confermato i numerosi progetti sportivi a valenza sociale illustrati al convegno. Da quello di una cooperativa di tifosi ultras di Genoa e Sampdoria che oggi lavorano insieme, a quello di un originale gruppo di cicloamatori che, con imprese ciclistiche come la Venezia- Pechino, attirano l’attenzione della gente a sostenere un orfanotrofio in Georgia. E su questo fronte sono attualmente impegnate in prima linea anche le Nazioni Unite. Lo ha spiegato Michael Kleiner, responsabile dell’Ufficio dell’Onu per l’Anno internazionale dello sport e dell’educazione fisica: Attraverso i propri volontari l’Onu cerca di far conoscere ed incrementare l’attività sportiva nei posti più disastrati della terra. Quando i bambini vedono un pallone riescono a distrarsi, dimenticandosi per un attimo della guerra e pensando solo a giocare insieme. Right to Play, è oggi la maggiore organizzazione non governativa sportiva con scopi umanitari: la loro missione è far conoscere il gioco, l’attività motoria, lo sport ai bambini più sfortunati. Si, far conoscere. Perché ci sono milioni di bambini nel mondo, 10 milioni solo fra i rifugiati, che non sanno neppure cosa significhi giocare, fare dello sport. Ana Shapiro, una delle responsabili mondiali del progetto, ha spiegato come i volontari di Right to Play, operativi in numerosi paesi come l’Angola, il Ghana, il Ruanda, insegnino ad animatori locali volontari (oggi circa 7.500) come gestire programmi di sport e gioco per i bambini: In tutti gli stati i programmi sono aperti e si incoraggiano i rifugiati e gli ospitanti a giocare insieme: così si consolidano i rapporti tra popoli diversi. Lo sport dunque come strumento per donare la felicità. Come ha spiegato anche Fausto De Stefani, naturalista, fotografo e soprattutto grande alpinista (sesto uomo al mondo a salire tutti gli ottomila della terra) che da alcuni anni dedica tutte le sue energie al sostegno di una scuola con 750 ragazzi in Nepal, alla periferia di Katmandu. Gli stessi partecipanti al congresso hanno potuto sperimentare come lo sport possa essere fonte di gioia e strumento per l’educazione alla pace, divenendo per qualche ora animatori di una serata di giochi sportivi per la pace, Sports4Peace, aperta agli alunni delle scuole elementari della città di Trento. In tutti i partecipanti, provenienti da venti nazioni di quattro diversi continenti, al termine dei tre giorni di incontri, è cresciuta la convinzione che tra attività motoria, sport e felicità esista un rapporto privilegiato. Ma anche la certezza che, come affermato da Chiara Lubich nel suo messaggio di saluto ai partecipanti quando lo sport diventa autentico può essere un elemento di affinità, di fratellanza e di pace tra popoli e nazioni.

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