Lo sport che fa bene

Presentato in Vaticano il Summit Internazionale sull'inclusione sociale attraverso lo sport. Il documento finale è stato consegnato nelle mani di papa Francesco.

Coeso, accessibile, su misura: è lo sport che fa bene, fatto a misura della persona, che rifiuta la logica del «business» e della performance ed è, invece, il luogo in cui le relazioni si possono sviluppare in modo sano. Non uno sport di élite, ma accessibile a tutti. «Quando lo sport mette al centro la persona, vengono superate le tentazioni della corruzione, della vincita ad ogni costo o della mercificazione del corpo. La coesione nello sport è fondamentale perché ci aiuta a rimodellare e sviluppare lo sport per tutti. Come comunità», ha sottolineato P. Alexandre Awi Mello, ISch., Segretario Dicastero per il Laici la Famiglia e la Vita presentando il Summit Internazionale sull’inclusione sociale attraverso lo sport «Sport for All. Cohesive, Accessible and Tailored to each person». Un evento organizzato dal Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, insieme al Dicastero per la Cultura e l’Educazione, con la collaborazione della Fondazione Giovanni Paolo II per lo Sport in Italia, che ha visto la partecipazione di circa 200 persone del mondo dello sport, di Federazioni Sportive Internazionali e di Associazioni sportive a livello amatoriale.

Il Summit, che si è svolto il 29 e 30 settembre in Vaticano, è stato una vera «chiamata all’azione» allo scopo di dare concretezza a proposte che favoriscano l’incontro tra il mondo dello sport professionistico e di quello amatoriale; che riescano ad eliminare le barriere culturali che impediscono ad alcune categorie di persone di fare sport in condizioni adeguate: bambini e bambine e donne, anziani, persone in situazione di esclusione e di povertà, rifugiati e migranti, detenuti, persone con disabilità; che facciano in modo che lo sport raggiunga tutti non per aumentare i profitti, ma per portare avanti una missione sociale, promuovendo azioni concrete che abbiano un impatto positivo sul territorio.

Al termine della due-giorni nella quale si sono alternati report, tavole rotonde e gruppi di lavoro, i partecipanti al Summit hanno incontrato papa Francesco. «Lo sport è un bene educativo, un bene sociale e tale deve restare!», ha raccomandato il papa invitando gli atleti ad essere modelli virtuosi, punti di riferimento positivi per i giovani, a combattere la cultura dello scarto «con senso di responsabilità educativa e sociale». Lo sport bene impostato, infatti, «contribuisce a generare personalità mature e riuscite, e costituisce una dimensione dell’educazione e della socialità», ha ricordato Francesco.

Lo sport è un’avventura che spinge ciascuno a dare il meglio di se’, che aiuta a mettere in gioco talenti e superare i limiti personali. Per questo deve essere accessibile a tutti, rimuovendo le «barriere fisiche, sociali, culturali ed economiche che precludono od ostacolano l’accesso allo sport», e accogliente aiutando a «superare pregiudizi, paure, a volte semplicemente l’ignoranza».

Nell’ambito dell’incontro con il papa i partecipanti al Summit hanno firmato la Dichiarazione sul ruolo dello sport nel mondo di oggi (www.sportforall.va). «Lo sport deve fare la sua parte in una stagione di rinnovata responsabilità (sociale, ambientale e personale) invece di concentrarsi solo sui propri interessi», si legge nel testo. Deve ridefinire e riprogettare se stesso poiché solo se è davvero accessibile e inclusivo, riesce a promuovere un impegno per il bene comune. In questo modo lo sport può «dare voce a questo profondo desiderio di trascendenza, bellezza e felicità in modo pacifico, unendo le persone di ogni razza, cultura e religione».

Nella Dichiarazione è contenuto un chiaro appello: «È importante che le agenzie e le istituzioni sportive si impegnino in azioni condivise per superare tutte le barriere fisiche, psicosociali ed economiche che impediscono l’accesso allo sport alle persone che vivono in condizioni di emarginazione e/o esclusione». Lo sport, infatti, deve essere su misura ed è indispensabile «offrire una pratica sportiva adatta alle esigenze di ogni persona. Ognuno deve poter trovare pratiche sportive adatte alle proprie potenzialità, capacità e competenze».

Una sottolineatura importante del Documento riguarda le persone rifugiate e detenute: «lo sport può essere un catalizzatore positivo per l’empowerment delle comunità di rifugiati, contribuendo a rafforzare la coesione sociale, il loro benessere psicosociale e a creare legami più stretti con le comunità ospitanti». Riconoscendo tale ruolo fondamentale, soprattutto per il benessere dei bambini rifugiati, occorre favorire l’accesso alle strutture e alle attività sportive nelle aree che ospitano i rifugiati. Anche per le persone detenute lo sport può fornire un «circolo sociale immediato e solidale sia all’interno, sia all’esterno delle mura carcerarie», aiutando a prevenire eventuali recidive. A tal fine l’appello affinché organizzazioni sportive, istituzioni sociali, ONG e istituzioni pubbliche forniscano, a chi opera nel settore, una formazione che aiuti a sviluppare la capacità di gestire gli ambienti sportivi in modo veramente inclusivo.

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