Lo Sperduto
Cosa significa essere sperduti? Forse significa essere disorientati, smarriti, stare al mondo senza punti di riferimento certi, senza un orizzonte di qualche tipo a cui guardare. Forse sperduto è chi non si sente mai a proprio agio, chi ha l’impressione di non sapere com’è che le cose andrebbero fatte. Sperduto è senz’altro Marcello, che non sa come affrontare il padre, che lo vorrebbe notaio per ereditare lo studio di famiglia, e che non sa trattare i compagni di classe, che lo considerano un tipo strano, da lasciare in disparte.
Marcello è un ragazzo bello e molto alto, ma è insicuro e goffo, non sa bene cosa vuole dalla vita, e quando scopre di dover diventare padre, a soli19 anni, non sa che pensare né tanto meno che fare. E ci mancherebbe.
Per fortuna accanto a lui c’è Mavi, che sta per diventare la madre di sua figlia, e che invece cosa vuole dalla vita lo sa benissimo: vuole partorire Benedetta (così hanno deciso di chiamare la bambina) e vuole accudirla, vuole laurearsi in lingue e diventare un’insegnante, vuole un altro figlio, vuole recitare i versi di Shakespeare a memoria e fare un viaggio in Inghilterra. Vicino a Mavi Marcello si sente felice e dimentica di essere uno sperduto.
Ma certe volte basta niente e capita che la vita, che magari è trascorsa sempre uguale per anni, venga stravolta, e tutti gli equilibri che ci sembravano perfetti e immutabili venga no messi in discussione, e allora bisogna fare i conti con noi stessi, con le nostre fragilità, coi desideri che avevamo dimenticato, con la distanza che c’è tra quello che siamo e quello che avremmo voluto essere o che ancora vorremmo essere.
È in questo spazio di felicità sfiorate, smarrite e ritrovate che si muove l’ultimo romanzo di Giovanni D’Alessandro (autore di testi molto amati dal pubblico come Se un Dio pietoso, I fuochi di Kelt e Soli),
Al libro di D’Alessandro, in uscita a settembre in libreria, seguiranno, non necessariamente in quest’ordine, quelli di Remo Rapino (Premio Campiello 2020 e finalista Premio Strega 2020 con Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio), Saverio Simonelli (giornalista di TV2000, che ha esordito nella narrativa con Cercando Beethoven, premio Casinò di Sanremo Antonio Semeria 2021) e Antonella Ossario (nota sia per i racconti per bambini e ragazzi che per romanzi come La mammana e I bambini del maestrale).
Il progetto della collana non si pone vincoli di genere ma, come dice Redaelli stesso, ha un’ambizione ben precisa: «Proporre storie che non si limitino a intrattenere, ma riescano a trattenere per alcuni istanti in bilico, col fiato sospeso, prossimi alla comprensione di qualcosa di importante , alla percezione di un’emozione profonda».
Ed è esattamente ciò che succede nel romanzo di Giovanni D’Alessandro, in cui il lettore viene posto di fronte a eventi che sconvolgono ciò che fino a un attimo prima sembrava certo e inscalfibile, per permettergli di accedere alla parte più intima e sconosciuta della vita del protagonista. Viene così a prodursi quello stato di immedesimazione tanto caro agli studiosi di letteratura e che Nanni Moretti descrive così bene in Palombella rossa, nella scena in cui è in un bar, con tante altre persone intorno, e se ne sta lì, con la cuffia da piscina e il costume, mentre tutti guardano Il dottor Zivago alla televisione, e sta passando la scena in cui Jurij, che è sul tram, riconosce Lara per strada, e a quel punto Moretti comincia a dire ad alta voce: «È lei! È lei» e anche tutti gli altri, intorno a lui, che guardano la televisione con lo stesso traspor to, cominciano a urlare: «È lei!», «Vai!», «Voltati!», «Bussa, bussa!».
È la stessa sensazione che si prova leggendo Lo sperduto, ed è talmente forte, e reale, il legame che si crea con Marcello durante la lettura, che viene da chiedersi se non ci sia qualcosa di autobiografico nel personaggio, tanto più che Giovanni D’Alessandro è un notaio, come Marcello, e vive a Pescara, proprio come lui.
Però «no – mi risponde quando gli pongo la domanda-, io ho i difetti opposti, che mi creano problemi di segno contrario. Poi Marcello ha 46 anni, io potrei essere suo padre o quasi. E infine lui è una persona migliore di me, ma io, come scrittore, per forza dovevo essere… “peggiore” di lui, per poterlo (de)scrivere dall’ottica opposta».
Ma dove nasce, allora, l’intuizione che genera la vicenda de Lo sperduto? «Veramente non lo so – prosegue D’Alessandro – . Cioè, so di non saperlo: se avessi messo a fuoco la scintilla iniziale, non avrei potuto scrivere il romanzo. Un romanzo è sempre un'(auto)interrogazione su qualcosa che non capiamo ma ci affascina e su cui chiediamo aiuto ai lettori».
E forse sta proprio nelle pieghe di questo “non sapere” il segreto di Marcello, del sentimento di empatia che suscita nel lettore, mentre affronta la sua vita da sperduto che, come ci rivela infine d’Alessandro, è colui che non sa cosa fare di fronte a qualcosa che non sa come gli sia capitata.
Sperduti sono i disorientati di partenza e quelli di arrivo, donne e uomini intelligenti, prudenti, previdenti nel corazzarsi contro se stessi cercando un altro essere umano in cui rifugiarsi.