Lo sguardo sul sacro di Pizzica
Espone a Marino Laziale (nella foto) sino al 20 marzo il pittore tiburtino che cerca in soggetti comuni il senso religioso dell’esistere
Toni Pizzica è di Tivoli e lo si vede. Non nell’aspetto fisico, ma nelle sue opere, segnate tutte da un senso del sacro che, qualunque sia il tema trattato, emerge e riemerge di continuo.
Pizzica dipinge oli, vetrate per chiese, ritrae cave di tufo, esegue ritratti. Ama colori densi, brillanti, lascia sprigionare dall’uso di una linea curva – si direbbe “musicale” – qualcosa che ha a che fare con lo spirituale. Ma non è un mistico. Piuttosto è un uomo del nostro tempo che usa indifferentemente l’astratto e il figurativo per dire un proprio mondo fatto non tanto di sensazioni o emozioni a fior di pelle, quanto di narrazione della realtà.
Così le Cave di peperino a Marino (1978) si accoppiano a La città (1994) nello sfrangiarsi del colore in forme evocative della realtà. Le vetrate della Cappella di san Leone all’Aquila (1967) puntano allo spirituale grazie ad una sensibilità per la luce che il vetro raccoglie. Una luce fisica innanzitutto, che poi assume una valenza spirituale. La Via Crucis (2004), nella Cappella Rui a Milano, richiama certo forme bizantine, ma l’interpretazione di esse ignora la loro fissità per diventare espressioni di dolore vero, si direbbe in qualche caso allucinato (si osservi il volto del Cristo).
In definitiva, il sacro per Pizzica nasce dal quotidiano, dal cercare lo spirituale che si annida, spesso nascosto, tra le pieghe della vita di ogni giorno, sia delle cose come delle persone. Solo chi è nato fra la natura e continua a viverci riesce ad avere una simile sensibilità e a trasporla in opere che all’apparenza sembrerebbero soggetti trattati da sempre, anche nel tema religioso.
Pizzica possiede così la capacità di estrarre la tensione all’assoluto, con sincera naturalezza, senza intellettualismi. Perciò la sua arte desta stupore e porta, istintivamente, al raccoglimento, qualunque ne sia il soggetto.