Lo sguardo materno sulle cose
Cinzia, moglie di Sergio, mamma di Ielena e Pavel, è insegnante all’istituto Ferraris di Iglesias e co-portavoce del Comitato riconversione RWM per la pace e il lavoro sostenibile. La sua info di whatsup riporta la frase: Ut omnes unum sint.
A 50 anni una donna può fare un bilancio della propria vita?
È sempre tempo di fare bilanci e in realtà non lo è mai, soprattutto per una come me che ama farsi sorprendere dalla vita. I bilanci si fanno soprattutto per essere grati, ma senza arrivare a conclusioni definitive, perché non finiamo mai di “allargare alla vita”.
Se dovessi dire ciò che mi caratterizza, direi che ho trascorso un’adolescenza malinconica, piena di interrogativi e con una visione negativa sul mondo e sulle persone. Per una serie di circostanze, ho poi avuto l’opportunità di dare una svolta, senza guardarmi indietro, e ho scelto, non con piena consapevolezza allora, di godere la saggezza che c’è dietro uno dei dieci comandamenti: “Non desiderare la roba d’altri”. L’ho tradotto in “non desiderare la vita degli altri”, quindi “guarda quante sorprese possono esserci nella tua e accetta la sfida!”. Significa talvolta essere severi con sé stessi, con ciò che si pensava di fare e di avere e non si ha, ma in questo modo si risparmia energia che non viene risucchiata dai rimpianti e può essere investita in ciò che di bello e sorprendente si nasconde dietro le circostanze.
Lei è stata una figlia amata ed ha molto amato i suoi genitori. Entriamo in una sfera intima: se volesse condividere alcuni episodi significativi quali sceglierebbe?
I miei genitori mi hanno dato grandissima fiducia e hanno sposato molte delle mie cause. Dopo il periodo malinconico, infatti, è arrivato il “momento entusiastico”, la mia casa era sempre accogliente per gli amici (ne avevo di tutti i tipi!). Per esempio studiavo sempre con qualcuno: alla fine di uno degli anni di liceo è capitato che tutta la classe venisse a casa mia per lo sprint finale, ci dividevamo in gruppi e in ogni stanza si ripassava una materia con un “tutor”.
In quegli anni frequentavo il Movimento Gen e i Giovani per un mondo unito. Facevamo spesso riunioni nel salotto di casa: 20, 30 persone, senza orari e con un’inventiva tale che ci portava ad organizzare di tutto. Alla fine i miei ci hanno regalato un magazzino, che hanno ristrutturato per noi, per farci avere una sede. I miei genitori sono stati aperti perfino rispetto ad una mia scelta che non comprendevano: dopo la laurea decisi infatti di vivere diversi mesi a Loppiano, la cittadella del Movimento dei Focolari vicino Firenze, condividendo un’esperienza comunitaria con altri gen provenienti da tutto il mondo. Ritengo che questa esperienza sia stata per me addirittura più formativa dell’Università, perché stando insieme le singole visioni personali si relativizzano nella ricerca della coesione e dell’incontro: per noi era più importante costruire un’esperienza di fraternità universale, che evidenziare le nostre singole appartenenze anche nazionali.
La casa della mia famiglia era “casa” per la famiglia allargata: molti cugini vivevano con noi (o la frequentavano) anche per lunghi periodi, quando c’era qualche problema in famiglia o per una vacanza. I miei genitori avevano molti fratelli e nipoti ed eravamo tra noi legatissimi. I miei cugini sono diventati artisti, operai, medici, artigiani, insegnanti, impiegati… Con loro entrava in casa il mondo, anche con le sue piaghe. Qualcuno di loro è arrivato a condividere con noi grandissime sofferenze, esperienze droga e di emarginazione… io le sentivo tutte mie e mi impegnavo per alleviare quei dolori.
Sei figlia di una terra ricca e bella: la Sardegna. Quale è il punto di forza dell’isola e del suo popolo unico?
La Sardegna per noi sardi è davvero una madre. Sentiamo nella pelle e nel cuore questa appartenenza all’isola! La sua bellezza ci incanta e penetra nell’anima lasciando un timbro di pace e una pratica di fraternità un po’ speciali. I sardi hanno pure tanti difetti, ma non voglio dirli. Alcuni, a mio parere, sono tali da ostacolare lo sviluppo della nostra terra. Ma si migliora guardando il positivo…
Cosa ha significato diventare mamma?
È stata l’esperienza più bella e ricca della mia vita. Una sorpresa. Infatti per un tumore che ho avuto in gioventù mi era preclusa la maternità fisica. Avevo risolto il problema, non senza aver attraversato una fase di buio, convincendomi che non mi sarei sposata, ma quando ho incontrato Sergio lui si era innamorato di me in un modo talmente forte che mi ha sorpreso e coinvolto (amor a nullo amato amar perdona!). Ci siamo sposati pensando che ogni famiglia è feconda e che insieme poi avremmo capito la nostra strada, che poi è stata quella dell’adozione, un’esperienza immensa. Debbo dire che non ho mai desiderato una strada differente: questa era la mia, unica e irripetibile, diversa, e non inferiore. La nostra casa si è riaperta al mondo, dato che i nostri figli sono bielorussi e la loro terra è diventata anche la mia. L’adozione è fondamentalmente un incontro tra persone. I figli hanno già una loro storia in cui i genitori adottivi non c’entrano. I genitori hanno una loro storia. Entrambe le parti hanno pregi e difetti, ma ci si incontra e si attraversa la vita, con tutto ciò che comporta, insieme. In questo senso l’esperienza fatta di una famiglia allargata variegata, e avere tanti amici con le loro caratteristiche differenti, ha agevolato l’impresa.
Cosa vuol dire solidarietà tra madri?
La solidarietà tra madri è un legame interessante e ricco di fecondità. Nella mia vita ho fatto diverse esperienze a questo riguardo: una, recente, è essere andata con la mia amica Mimma, madre adottiva del fratello dei miei figli, e le nostre due famiglie, a conoscere i genitori biologici dei nostri ragazzi. Ritrovare le proprie radici è una fase necessaria e noi siamo stati sempre aperti a questo. Proprio il rapporto con Mimma, che è una persona molto saggia, ha reso questo momento molto intenso. Mentre sul pullman stavamo raggiungendo il paesino dove sono nati i nostri ragazzi, abbiamo fatto insieme un allenamento interiore a non giudicare, ad accogliere. L’incontro con la mamma biologica è stato molto bello, perché i nostri ragazzi hanno sperimentato la gioia del perdono e dell’incontro. Io e Mimma abbiamo sentito nel profondo del cuore, quando siamo state ringraziate per quello che avevamo fatto, di ringraziare Ludmilla perché ha dato la vita ai nostri figli e ci ha permesso di incontrarli. Non era una frase fatta, né artificiale, ma una sorpresa che sgorgava dai nostri cuori di madri.
Negli ultimi due anni, a proposito di solidarietà, mi sono impegnata per la riconversione di una fabbrica di bombe che si trova nel nostro territorio e produce ordigni che devastano lo Yemen. Anche questa è un’esperienza collettiva sorprendente, si aprono strade inaspettate, si fanno incontri con molte splendide persone. Per me, che sono anche abbastanza apprensiva nei confronti dei miei figli anche se ormai grandi, le mamme dello Yemen rappresentano un esempio di forza immenso. Come si fa a svegliarsi tutti i giorni senza avere il cibo da dare ai propri figli, mandarli a scuola sapendo che il pulmino può essere bombardato, non avere medicine, non poter vederli giocare sereni? Tutta la gioia della quotidianità è spazzata via dalla guerra, una guerra di cui mi sento complice se non faccio il possibile per cambiare la situazione là dove sono. Anche per loro dedico tanto tempo alla causa, studiando, viaggiando per l’Italia, entrando a far parte di reti nazionali e internazionali.
A proposito di mamme: l’ultima rete in cui sono inserita è quella delle “Mamme da Nord a Sud”, che raggruppa decine di associazioni di mamme che vogliono garantire ai propri figli un futuro senza inquinamento e di pace. Da anni lottano per questo e adesso si sono riunite. Essere madre non significa pensare solo ai propri figli, ma avere uno sguardo materno sulle cose e sulle persone.