Lo sguardo di Gesù
Nel Nuovo Testamento il racconto della chiamata dei primi quattro discepoli di Gesù ha nel Vangelo di Marco un valore molto particolare e si presenta come la sintesi di molti degli aspetti dei racconti di vocazione che troviamo nel Primo Testamento e di molti altri racconti di chiamata da parte di Gesù, che vengono raccontati dai Vangeli.
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Nella sequela narrativa di Marco quindi, si tratta di un episodio molto importante che ha in sé un carattere inaugurale e programmatico, soprattutto per il tema della vocazione e della sequela cristiana.
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Un primo dato da sottolineare di questo transito di Gesù consiste nel fatto che egli passa nei luoghi della vita quotidiana degli uomini e delle donne del suo tempo.
Siamo in Galilea, e non c’è luogo più ordinario e quotidiano per la vita, delle rive del lago che era una delle fonti di lavoro e sostentamento per i villaggi della zona. Il passaggio di Gesù dice innanzitutto questo: egli ci viene incontro nei luoghi del nostro quotidiano, delle nostre occupazioni, del nostro lavoro. Si tratta di un aspetto che, potremmo dire, descrive in modo molto concreto e personale il significato dell’incarnazione. È il senso dell’incarnazione che si fa più vicino alla nostra vita, all’esistenza personale dei singoli credenti. In questo modo il racconto del Vangelo di Marco, che non fa nessun cenno all’incarnazione e alla nascita di Gesù, ci mostra come questo evento così centrale per la fede cristiana, possa toccare l’esistenza dei singoli credenti. Marco non fa grandi annunci circa l’evento dell’incarnazione, ma ne mostra la concreta rilevanza per gli uomini e le donne che incontrano Gesù nella loro vita quotidiana.
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Il secondo elemento essenziale della vocazione cristiana è lo sguardo di Gesù che si posa sul chiamato. Prima ancora che i primi discepoli possano accorgersi del passaggio di Gesù e udire la sua voce che li chiama, egli posa il suo sguardo su di loro. È uno sguardo di elezione che tocca nel profondo e che afferma che l’iniziativa è di Gesù.
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Un aspetto fondamentale della vocazione cristiana, che emerge da questo elemento ricorrente nei racconti di chiamata, consiste nel fatto, come abbiamo accennato sopra, che l’iniziativa non è del chiamato ma di Gesù. È lui che prende l’iniziativa quando ancora coloro che sono chiamati non si sono resi nemmeno conto della sua presenza. Nella vocazione, Dio precede sempre.
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Il credente non è principalmente colui che conosce Dio, ma colui che si scopre conosciuto da lui. Quindi, la caratteristica della vocazione cristiana, che lo sguardo di Gesù posato sui primi discepoli fa emergere, è principalmente questa: l’iniziativa è sua, non nostra.
Lo sguardo di Gesù inoltre non si posa su persone generiche. Non si parla genericamente di pescatori o di fratelli. Lo sguardo di Gesù si posa su persone ben precise di cui si dicono i nomi: Pietro e Andrea, Giacomo e Giovanni. La vocazione cristiana non si rivolge alle folle, a persone indistinte, ma a uomini e donne ben precisi, con un nome proprio, con un volto. La vocazione è personale e nessuno può “sostituirsi” a me nella risposta. È vero che nessuno di noi è indispensabile, ma è altrettanto vero che nessuno può prendere il nostro posto nel rispondere alla chiamata di Dio per la nostra vita. Se la vocazione fosse solo l’arruolamento di forze per compiere delle imprese anche molto belle, questo non sarebbe vero. C’è sempre qualcuno che può fare qualcosa meglio di noi. Ma la vocazione non è questo. Come abbiamo visto essa è principalmente uno sguardo di Dio che si posa su di noi per liberarci e per salvarci. In questa relazione unica con Dio nessuno può sostituirmi nel rispondere alla sua chiamata.
Per sottolineare l’importanza dello sguardo di Gesù che si posa sui chiamati, è significativo notare che nella loro esistenza, questo stesso sguardo ritornerà quando essi dovranno ricordarsi della necessità di perseverare nella loro sequela o convertirsi dalle loro infedeltà. La vocazione è così, veramente l’origine della sequela e ne custodisce perennemente il senso più autentico.
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C’è poi l’indimenticabile sguardo che Gesù posa su Pietro dopo il suo rinnegamento di cui ci parla Luca:
Allora il Signore si voltò e fissò lo sguardo su Pietro, e Pietro si ricordò della parola che il Signore gli aveva detto: «Prima che il gallo canti, oggi mi rinnegherai tre volte”». (Lc 22, 61)
Gesù continua a posare il suo sguardo sui suoi discepoli per ricondurli al senso della sequela, che ha nella vocazione il suo momento iniziale, ma anche già in germe il suo significato profondo. Ogni discepolo nel suo cammino di sequela, trova in questo sguardo posato su di lui per liberarlo e salvarlo, l’elemento capace di ricondurlo alla verità della sua chiamata e di convertirlo.
Solo in un terzo momento si parla di cosa stanno facendo i discepoli e di quale sia la loro occupazione. Se da una parte questo terzo momento può rinviare al primo, cioè al passare di Gesù nei luoghi della vita ordinaria degli uomini e delle donne del suo tempo, dall’altra qui non si parla più di un luogo di lavoro o sociale in generale, ma del lavoro di singole persone delle quali, come già abbiamo ricordato, si dice il nome proprio: Pietro e Andrea, Giacomo e Giovanni. Questi quattro uomini, due coppie di fratelli, vengono come fotografati nell’istante dell’incontro con Gesù, nel momento in cui egli sta per rivolgere loro personalmente la sua parola.
Il lavoro, l’occupazione, tra l’altro non ricordata appunto come primo elemento, non è unicamente l’attività che questi uomini fanno per vivere, ma indica anche le loro capacità, le loro competenze, le loro doti, i loro doni. Certo attraverso queste attività e doti personali essi possono guadagnarsi da vivere e la qualità della loro vita personale e famigliare dipende anche da questo. Tuttavia il riferimento al lavoro dice molto di più di una semplice informazione sull’attività lavorativa dei primi discepoli. Il terzo passaggio della vocazione afferma che Gesù ci incontra e ci chiama con i nostri doni e le nostre capacità, anzi ci chiama proprio in essi, mentre li viviamo. Questo aspetto, che sarà sviluppato ulteriormente nel passaggio successivo, è molto importante perché ci invita a valorizzare pienamente i doni che abbiamo, a viverli con responsabilità e impegno perché è in essi che si realizza la chiamata del Signore.
Da Verso la terra che ti indicherò, la vocazione come risposta alla parola di Dio, di Matteo Ferrari (Città Nuova, 2016)