Lo sguardo della maestra

I bambini, il rapporto, il bisogno di essere vicini anche in tempo di pandemia. La fantasia in classe… virtuale

Non conto più le ore che passo seduta davanti allo schermo: la mia vista è calata a forza di fissare il pc, e il lavoro sembra essersi moltiplicato. Se prima mi serviva un’ora di preparazione per ogni lezione, ora ne sono necessarie almeno 3… E per correggere i compiti? Qui davvero fare una stima è quasi impossibile! Arrivano in tutti i formati: word, pdf, foto di quaderni, sfocate, dritte, storte e a tutte le ore! E che dire delle videochiamate? Esco dall’aula virtuale per un collegio, lascio un webinar di formazione per una riunione di dipartimento.

La cosa che in assoluto provoca in me un netto rifiuto è il titolo – che la dice lunga sulla comprensione del valore dell’azione educativa –: “Didattica a… distanza”. Ma quale distanza? Il mio è un lavoro fatto unicamente di rapporti, è tessuto di sguardi, gesti e vicinanza, è un camminare tenendo per mano, per crescere insieme e per trasmettere il gusto del sapere, e in ciò non può esistere nessuna distanza!

Sì, sono una maestra di scuola primaria e amo immensamente il mio lavoro, proprio perché è fatto di vicinanza, prossimità, empatia e accompagnamento dei bambini, in una delle fasi più belle e delicate del vivere. A distanza io non ci so proprio stare: perché la mia è una storia che si chiama Lang e Cecilia, ha il sorriso di Emma ed Ernesto, il colore di Nethum, Vittoria e Paul, gli sguardi di Giacomo e Camilla, le voci chiassose e acute di Fede e Lorenzo…

Noi siamo la Quarta A, un Noi! Un intreccio di gioia di vivere e di sfide, di passione per la storia e per le scienze, di paura per l’interrogazione di matematica e di coraggio nell’affrontare insieme le difficoltà, il tutto racchiuso dentro un’aula che sa spalancare finestre sul mondo intero! Difficile contenere tutto questo dentro uno schermo: tutto perde spessore e limpidezza, e più il mezzo è capace di aprire connessioni lontane, più si acuisce il bisogno di essere vicini, di poter esprimere la variegata ricchezza dello stare insieme.

A distanza non siamo stati neanche un minuto: la comunicazione che le scuole sarebbero state chiuse l’indomani, l’ho avuta stando a casa. Ho subito pensato come poter raggiungere i bambini e la sera stessa ho aperto una casella di posta elettronica dedicata. Ho scritto loro una lettera, per far sentire che ero vicina, che rimanevo al loro fianco, che avremmo trovato i modi per continuare insieme. Sulla lettera il logo col simbolo scelto per il percorso della nostra classe: una mongolfiera! Subito i bambini hanno risposto e hanno continuato a farlo nelle settimane successive: messaggi colorati e pieni di emoticon, per confidare paure e sospensioni, per condividere pensieri e gioie, per festeggiare Anna che compiva gli anni.

Non subito e non solo comunicazioni per assegnare compiti, ma parole per toccarci col cuore, per rinnovare in ognuno di loro la certezza che non sarebbero mai stati soli, che c’era uno spazio tutto per loro, in cui approdare con continuità. Il bisogno di relazioni significative e di socialità, cui la scuola assolve con quotidiana naturalezza, doveva poter continuare ad essere accolto. Conoscendo il bisogno di appartenenza, di sentirsi parte del gruppo, che i bambini hanno, ho pensato di coinvolgerli in un progetto comune, in cui ciascuno potesse dare il proprio contributo. Ho lanciato loro l’idea di scrivere un libro insieme, per raccontarci e raccontare quanto stavamo vivendo in tempo di pandemia. «Maestra, ma poi lo pubblichiamo davvero? […] Mia zia ha un negozio di libri, poi lo vendiamo lì!».

Un titolo preciso ancora non ce l’ha, Emma dice che dobbiamo aspettare la fine. Per ora contiene pagine di diario, poesie (molte e belle), cronache e disegni, “trascrizioni” delle nostre comuni conversazioni, fingendo che siano state telefonate, il tutto scritto come se la nostra squadra fosse stata ingaggiata in una “missione antivirus” per sconfiggere gli effetti collaterali del Covid-19: la solitudine, la paura, la noia e la preoccupazione. I bambini sono totalmente coinvolti e scrivono raccontando ciò che realmente hanno vissuto: hanno ingaggiato i bambini di un palazzo a rendere le scale colorate dai loro disegni. C’è chi telefona ai nonni e legge loro una storia, chi ha fatto i biscotti per un vicino anziano, chi fa i compiti al telefono con un compagno in difficoltà, chi danza in terrazza all’unisono coi bambini cingalesi del balcone di fronte. È stata importantissima questa narrazione, e continua ad esserlo, per non permettere che i bambini facciano l’esperienza, cui sono stati costretti per quasi 3 mesi, di essere unicamente “figli”, e non più alunni-compagni di classe-nipoti.

Quando abbiamo cominciato a poterci collegare con tutti attraverso le videochiamate, è stata un’emozione fortissima: poterci finalmente rivedere e riascoltare le nostre voci! Ne è scaturito un incontro caotico ed entusiasta, intessuto di scambi sovrapposti, di curiosità per lo strumento pc, di gioia di poter di nuovo condividere in diretta!

Non è certo come incontrarsi a scuola, e anche per me vederli 24 in una griglia, a grandezza francobollo, è davvero un’impresa. Ma ho voluto ricreare le ritualità che scandiscono le nostre giornate: i bambini a turno suonano la “campanella” di inizio e abbiamo ascoltato di tutto: carillon e flauti, chitarre scordate e ukulele, cd e pianoforte. Non ci lasciamo mai senza aver osservato insieme un minuto di silenzio per ricordare chi più soffre in questo periodo di pandemia ed è impressionante il raccoglimento di ognuno.

Diversi bambini mi hanno detto come è stato importante risentire la mia voce. Loro sono entrati a casa mia e io nelle loro. Ho cercato di farlo in punta di piedi, con il massimo rispetto per un contesto già fortemente provato dalla situazione generale, sfruttando ogni dettaglio per far sentire il rapporto con ognuno unico e speciale. I bambini piazzano davanti alla telecamera i loro disegni, i libri che stanno leggendo, mi fanno conoscere i fratellini più piccoli o il loro angolo preferito. Di questi momenti si nutre la relazione educativa, molto prima e molto più profondamente che dei contenuti di studio.

E questa non è Didattica a distanza, ma Didattica della prossimità.

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