Lo scrittore giornalista
Il Nobel a Vargas Llosa, romanziere pieno di vigore, artigiano del linguaggio.
Lo scrittore peruviano Mario Vargas Llosa, vera icona del boom latinoamericano degli anni Sessanta e Settanta, si è sempre sentito più legato – e non è un segreto per nessuno – ai romanzieri del XIX secolo che non a quelli del XX. La sua devozione per Balzac e Flaubert, senza dimenticare la “letteratura popolare” di Dumas, è un dato di fatto. Tra l’altro, non è mai stato un artista della boheme, ma un vero lavoratore ossessivo e perfezionista; uno che si mette seduto al tavolo per otto ore al giorno e scrive con la sua penna a inchiostro, per poi correggere ogni pagina più volte.
Lui, padrone di una lingua spagnola curata e precisa, ha sempre amato i romanzi, ma paradossalmente pensa che fossero più creativi quelli dell’antica epica cavalleresca che non il folle Don Chisciotte della Mancia, giacchè Miguel de Cervantes – secondo lui – fece soltanto sparire un mondo meraviglioso con le sue moderne ironie pessimistiche.
Vargas Llosa fu intellettuale di sinistra in gioventù, ma il suo amore per Fidel Castro e la rivoluzione cubana finì quando ebbe luogo la disgrazia del poeta Heberto Padilla, messo in carcere nel 1971 a La Havana. Poi, sempre più, si definì uomo liberale, diffidente verso tutti i regimi rivoluzionari che non rispettassero la democrazia. Tutt’ora è un nemico dichiarato del venezuelano Hugo Chavez e di altri “populisti” del suo Continente, compresa l’argentina Cristina Kirchner. Quando si buttò in politica per diventare presidente del Perù, perse di fronte all’allora sconosciuto Alberto Fujimori. Come giornalista e critico, mestiere che pratica spesso e in modo brillante, lo scrittore è tante volte sconcertante: si dice contrario alla religione, parla bene di Margaret Thatcher o di Silvio Berlusconi, è a favore di tante proposte polemiche e postmoderne.
La sua opera più importante è forse il grande romanzo La guerra della fine del mondo (1981), dove si immerge nelle vicende violente dei contadini brasiliani alla fine dell’Ottocento. Emblematiche La città e i cani (1962), dove racconta la sua difficile gioventù nella scuola militare di Lima, La casa verde (1966), scritta con le più moderne tecniche narrative europee, e Conversazione nella cattedrale (1969), il libro che lo scrittore più ama: «Se dovessi salvare del fuoco una sola delle opere che ho scritto, salverei questa».
Se Vargas Llosa non fosse stato anche giornalista attivo e politico impegnato, la sua letteratura sarebbe forse risultata più fredda e razionale; invece quel suo coinvolgersi nelle polemiche, se da un lato gli fa perdere obiettività ed equilibrio, dall’altro lo trasforma in un romanziere pieno di vigore. Lui non crede troppo nella rappresentazione, si interessa ai fatti. In certe opere non manca anche l’humor, ma sono opere minori. Si dimostra comunque sempre un virtuoso, un uomo che lavora il linguaggio come un artigiano, perché lo vuole perfetto.
Seppur il suo nome non sia considerato all’altezza di quello del colombiano Gabriel García Márquez, del messicano Juan Rulfo o dell’argentino Julio Cortázar, a Vargas Llosa non manca certo merito. Diceva la critica argentina Beatriz Sarlo che Vargas Llosa è un uomo profondamente legato alla realtà del suo tempo, anche se possiamo qualche volta non essere d’accordo con lui.
Tanti intellettuali non amano la sua letteratura perché non sono d’accordo con le sue scelte politiche. Altri non accettano le sue posizioni dissacranti in materia religiosa e di costume. Lui, comunque, dovrebbe essere giudicato come scrittore, e in questo senso il Nobel lo meritava… e come! Sono chiare le motivazioni dell’Accademia: «Per la sua cartografia delle strutture del potere e per le acute immagini della resistenza, della rivolta e della sconfitta dell’individuo». Per la sua posizione iniziale, fu considerato uno scrittore del boom e della sinistra latinoamericana, poi per l’opinione pubblica diventò un individualista liberale; ora viene riconosciuta finalmente la sua arte, che non gli è mancata in nessuna tappa della sua prolifica scrittura.