Lo scrittore delle “buone”cause perse

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Mi trovavo in montagna per le mie ferie estive. Il pomeriggio, invece di riposare, preferivo rilassarmi mettendo giù per iscritto alcune idee che da qualche tempo mi frullavano in testa… solo un canovaccio, su cui ho lavorato in seguito, impiegando circa tre mesi per scrivere il testo vero e proprio e per rifinirlo. Così, quasi in sordina, ma con gli incitamenti fondamentali della moglie Albarosa, è nato il romanzo Come Giulietta di Luciano Rognini, edito da Bonaccorso. Un romanzo che è anche la prima prova narrativa – a settant’anni suonati – di uno studioso di Storia dell’arte e della musica noto in Italia ed anche all’estero per le sue pubblicazioni. Sì, ma un romanzo di amore contrastato e di avventura ambientato in Canada nella seconda metà del 1700, al tempo del conflitto franco-inglese, e che a me ricorda un po’ Cooper e un po’ Curwood. Con due giovani protagonisti – l’impavida e tenera Joan, figlia di un colonnello inglese, e l’idealista e tormentato ufficiale francese Louis de Belle-Isle – che sembrano fatti apposta per diventare gli eroi di lettori adolescenti. A cosa si deve questo exploit brillante di uno studioso serio e piuttosto schivo? Sono andato a chiederglielo di persona nella sua casa veronese sul Lungadige Catena. Scoprendo fra l’altro che da una trentina d’anni i coniugi Rognini sono fedeli lettori di Città nuova. Della rivista – mi dice il signor Luciano – apprezzo la serenità dei giudizi, la profondità con cui tratta i temi spirituali, la gamma degli interessi, sempre di attualità, la ricerca della fraternità e del dialogo… Ecco, è proprio quest’ultimo elemento che ho voluto inserire nel mio romanzo. Come mai ho voluto cimentarmi in questo genere letterario? Vede, il mio primo amore è la storia dell’arte, ma anche la storia in genere, con un notevole interesse per il periodo tardoromano e bizantino. E poi mi attirano le cosiddette cause perse, ma perse positivamente. Tra queste, nel Nord America, l’ultima guerra combattuta tra francesi e inglesi (1759- 1760) per il controllo del redditizio commercio delle pellicce, guerra che è stata vista per lo più sotto l’ottica anglosassone, la quale ha perciò minimizzato l’enorme divario di potenza tra le nazioni in conflitto. Mentre infatti gli inglesi potevano contare sull’aiuto delle proprie tredici colonie (nucleo dei futuri Stati Uniti d’America) forti di una popolazione di oltre un milione di abitanti, i francocanadesi raggiungevano appena le settantamila unità ed opposero una disperata quanto vana resistenza alla superiorità numerica e militare britannica, nella consapevolezza di dover abbandonare, in caso di sconfitta, non solo usi e costumi ma anche la propria identità cattolica. In questa lotta, che vide gli indiani schierati a fianco dei due contendenti, pedine ignare di interessi tesi a sfruttare il loro aiuto, per fortuna non mancarono dei generali inglesi che ebbero l’accortezza di evitare quella che ora chiamiamo pulizia etnica: come era stato loro fatto nella vicina Acadia, ora nota come Nuova Scozia. Con questo romanzo, il cui titolo originario per la verità era Bagliori di guerra sul Lago Sacro, mi interessava far luce, tramite una vicenda inventata (i protagonisti sono di fantasia, tranne alcuni personaggi secondari, realmente esistiti), su questo episodio del passato, dove positivo e negativo sono equamente distribuiti in entrambi gli schieramenti e gli uomini vengono descritti nelle loro debolezze e nei loro dubbi… Quanto a Joan e Louis, i due innamorati coinvolti nelle vicende della guerra, li vediamo superare gli ostacoli di nazionalità, formazione e vincere anche l’ingerenza e l’ostilità di congiunti e compatrioti in prevalenza avversi alla loro unione. C’è insomma di che far meditare anche nell’attualità, non è solo un libro di avventure. Il romanzo in effetti è avvincente e si legge tutto d’un fiato. Con un linguaggio fresco e diretto (Anche nelle mie pubblicazioni scientifiche ho cercato sempre di farmi capire, di non parlare mai soltanto agli addetti ai lavori ), evidenzia valori come la ricerca della verità, della giustizia, di autenticità anche nel campo della religione; e mi pare colga nel segno, incentrandosi su una storia che porta allo scontro tra culture diverse (che però diventa incontro, comprensione e dialogo nel caso dei giovani protagonisti). Vengo a sapere poi che di romanzi Rognini ne ha altri due nel cassetto, non ancora pubblicati: anch’essi ispirati dal suo interesse per le cause perse. Sono molto diversi dal primo. Uno è ambientato in Polonia, durante l’invasione mongola del 1200: un Medioevo che io fra l’altro non ho mai considerato un periodo buio, come qualcuno vorrebbe far credere. E l’altro sulla fine silenziosa dell’Impero d’Occidente, rivisitata attraverso la vicenda di Romolo Augustolo, l’ultimo imperatore, e di suo padre Oreste. Anche in questi due romanzi – che auguro all’autore possano presto vedere la luce – sono protagonisti dei giovani che si affacciano alla vita in contesti storici piuttosto problematici. E non a caso. Non avendo figli propri i Rognini, il signor Luciano ha messo le sue capacità e la sua cultura al servizio soprattutto delle nuove generazioni, aiutando studenti nei loro studi ed esercitando quindi una paternità spirituale in questa tappa delicata della maturazione dell’uomo. LUCIANO ROGNINI è nato a Torrebelvicino (Vicenza) nel 1936 da padre veronese, ma da sempre vive e lavora a Verona. Si occupa di Storia dell’arte e della musica della città scaligera applicata alla ricerca su documenti. Membro di due accademie veronesi e di una genovese, collaboratore di numerose riviste culturali, ha al suo attivo non poche pubblicazioni con cui ha riportato all’attenzione degli studiosi numerosi artisti del passato dimenticati o sconosciuti.

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