Lo scontro sul caso Cospito riapre vecchie ferite

Maggioranza e opposizione si spaccano intorno alla vicenda dello sciopero della fame intrapreso dall’esponente del mondo antagonista contro l’applicazione del regime detentivo del 41 bis. La necessità di un dialogo sui grandi temi della giustizia penale
Cospito
Foto Mauro Scrobogna/LaPresse 01-02-2023 Nella foto: il Ministro della giustizia Carlo Nordio durante l'informativa sul caso dello sciopero della fame dell'anarchico Alfredo Cospito detenuto in regime di 41bis

C’è stato di recente in Italia il caso di un detenuto morto in carcere nel 2017 a causa di uno sciopero della fame. Il suo nome era Salvatore “Doddore” Meloni, aveva 74 anni e il suo corpo non ha retto dopo 60 giorni di digiuno. Un fatto poco conosciuto, forse perché legato alla causa indipendentista sarda che non è più seguita come un tempo.

Sta facendo molto scalpore, invece, la vicenda di Alfredo Cospito che si sta astenendo dal cibo da oltre 100 giorni. Un caso che all’inizio non ha destato molto interesse, come tante altre storie di carcere, ma che ha conquistato le prime pagine dei giornali dopo una serie di disordini e proteste diffusi in Italia e all’estero, a partire in particolare dall’attentato rivendicato contro la nostra sede diplomatica ad Atene.

Cospito infatti è un esponente della Federazione Anarchica Informale, un raggruppamento insurrezionalista che, come dice il nome, non è strutturato ma agisce a livello di piccoli gruppi o individui con metodo terroristico. Una realtà studiata e analizzata nelle relazioni della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo e che agisce in maniera subdola perché usa la sigla FAI che è invece l’acronimo della Federazione anarchica italiana che esprime un variegato mondo politico sociale dalle radici culturali plurime ma lontano da pratiche e azioni violente. Per avere un’idea si può visitare il sito federazioneanarchica.org e il settimanale Umanità Nova fondato da Enrico Malatesta secondo il quale «ciò che distingue gli anarchici da tutti gli altri è appunto l’orrore della violenza, il desiderio ed il proposito di eliminare la violenza, cioè la forza materiale, dalle competenze tra gli uomini». Salvo poi ammetterne, come avviene per tante altre dottrine, l’uso solo «per difendersi dall’altrui violenza».

Pensatori anarchici contemporanei come l’antropologo David Graeber sono gli ispiratori del movimento sociale statunitense Occupy Wall Street mentre il russo Kroptkin è alla base di alcune pratiche di mutualismo in campo economico e politico. Una costante comune al pensiero dell’anarchia è l’avversione verso ogni forma di reclusione.

Tutt’altra cosa è l’ideologia perseguita da Cospito che sconta la pena anche per il reato riqualificato nel 3° grado di giudizio come strage “al fine di attentare alla sicurezza dello Stato”. Il fatto commesso: aver architettato, assieme alla sua compagna, un attentato contro la scuola dei carabinieri di Fossano (Cuneo). Un piano messo in pratica nel 2006 con la tecnica dei due ordigni di crescente potenza devastatrice in modo da colpire il maggior numero di vittime. Progetto fortunatamente non andato a buon fine ma tale da meritare una condanna a 20 anni per il delitto contro la pubblica incolumità qualificato in Corte d’Assise d’appello come semplice “strage” previsto dall’articolo 422 del codice penale (qualificazione poi modificata dalla Cassazione in via definitiva).

Per il detenuto (recidivo reiterato) è stata inoltre disposta, a partire da maggio 2022, dall’allora ministro della Giustizia del governo Draghi, Marta Cartabia, l’applicazione del regime carcerario dell’articolo  41-bis previsto,  per i mafiosi e non solo, al fine di impedire ogni contatto con l’esterno a causa della loro pericolosità. Tale norma, ampliata nella sua portata dopo la strage di Capaci, è applicabile oggi, fra l’altro, anche a terroristi e autori di atti eversivi.

Nel luglio 2022 la Corte di Cassazione, che è giudice di legittimità, ha operato il rinvio alla Corte d’Assise d’Appello di Torino per una nuova valutazione del solo trattamento sanzionatorio, avendo accolto la richiesta del procuratore generale di riconsiderare la tipologia del reato attribuito a Cospito, riqualificato in quello più grave di strage mirata «ad attentare alla sicurezza dello Stato» (art. 285 del codice penale). Molto si è parlato in questi giorni sui giornali di una condanna all’ergastolo ostativo (conosciuto anche come “fine pena mai”) ma il procuratore generale del tribunale di Torino, Francesco Saluzzo, ha precisato, in un comunicato ufficiale, che Cospito non è stato condannato e quindi non sta scontando alcuna pena dell’ergastolo di qualsiasi tipo. Il detenuto è stato condannato a 30 anni «per una serie di reati (taluni assai gravi)» e «sta ora scontando come condannato in via definitiva quella pena».

La Corte d’Assise d’Appello, come precisa la nota del procuratore Saluzzo, «ha deciso di sollevare questione di legittimità costituzionale in ordine ad un profilo squisitamente tecnico relativo alla applicabilità, e con quale estensione, di una attenuante speciale». Solo dopo «l’esito del giudizio» della Corte costituzionale «il processo riprenderà il proprio corso», che potrebbe anche condurre all’ergastolo, qualora non si affermasse la prevalenza della circostanza attenuante, configurata nel giudizio, e decisiva ai fini sanzionatori.  Da qui l’ulteriore prospettazione, nella specie, di un eventuale “ergastolo ostativo”, anch’esso al centro oggi di un vasto dibattito giuridico.

Cospito è considerato soggetto pericoloso perché ideatore ed esecutore di altri attentati tra cui il ferimento di un dirigente di Ansaldo Nucleare avvenuto a Genova nel 2012 con la tecnica della gambizzazione usata negli “anni di piombo”. Reato che ha comportato una pena di 10 anni di reclusione.

Il vero tema in discussione è quindi l’applicazione del regime carcerario del 41 bis che è stata impugnata dai difensori con un ricorso per il quale è attesa la decisione della Cassazione il 7 marzo 2023.  Nel frattempo il condannato ha iniziato lo sciopero della fame come forma di lotta politica contro il regime del 41 bis che è materia controversa anche tra i giuristi.

Alcuni tra gli studiosi la ritengono una norma incostituzionale. È di questo parere, ad esempio, l’ex magistrato di “Mani pulite” Gherardo Colombo.

Lo scontro è molto acceso in Italia, soprattutto nella stampa, tra i cosiddetti garantisti e giustizialisti presenti all’interno delle stesse formazioni politiche.

In questi giorni, per garantire un’assistenza medica adeguata al detenuto, che ha perso 40 chili a causa del digiuno di protesta ed è in pericolo di vita, il ministero della Giustizia ha trasferito Cospito dal carcere di Sassari a quello di Opera, in Lombardia, meglio attrezzato di quello in Sardegna dove finora è stato recluso.

Un elenco di nomi illustri, a partire dall’ex presidente della Corte costituzionale Giovanni Maria Flick, hanno sottoscritto un appello pubblico per revocare il regime del 41 bis al militante insurrezionalista scontrandosi con coloro che sostengono la fermezza dello Stato come avvenuto in altri momenti della storia della Repubblica.

La tensione sull’intera vicenda rischia di compromettere il livello finora accettabile dei rapporti tra i partiti politici dopo il varo del governo Meloni che gode di una larga maggioranza parlamentare.

Dai banchi di Fratelli d’Italia, proprio durante la discussione per decidere la composizione della commissione parlamentare d’inchiesta antimafia, si è levata una polemica verso i rappresentanti dell’opposizione, perché, secondo il deputato di FdI Donzelli, sosterrebbero, di fatto, le stesse tesi dei terroristi e dei mafiosi contro lo strumento del carcere duro che resta necessario per contrastare la malavita organizzata e le trame eversive.

In particolare Donzelli ha preso di mira i deputati Pd, tra i quali la capogruppo alla Camera Serracchiani e l’ex ministro della Giustizia Orlando, che sono andati a trovare Cospito in carcere. Il suo intervento in Parlamento ha scatenato reazioni sdegnate e la richiesta di una commissione interna parlamentare (giurì d’onore) per stabilire la fondatezza delle dichiarazioni di Donzelli che avrebbe citato, nel suo intervento, dati “sensibili”, riportati nelle relazioni depositate ad opera del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria.

Si può dire che la protesta di Cospito ha suscitato una questione in grado di far saltare un certo equilibrio di toni nei rapporti tra maggioranza e opposizione, ricompattando quest’ultima e, in particolare, il Pd preso da un logorante dibattito interno sulla nuova segreteria.

Nel caso concreto tuttavia occorre saper distinguere il confronto politico e giuridico sul regime del 41 bis, che in Italia è applicato attualmente verso 748 persone, mentre l’ergastolo ostativo riguarderebbe circa 1400 detenuti (dati citati da Luigi Manconi, ex senatore del Pd nonché fondatore e presidente dell’associazione A buon diritto), dalla decisione da prendere singolarmente in merito ad Alfredo Cospito.

L’associazione Antigone, attiva per i diritti dei detenuti, ritiene urgente e necessaria la revoca in questo caso del regime di 41 bis «per salvare una vita e per far sì che la pena non sia in contrasto con la finalità costituzionale» e nella convinzione che «uno Stato forte e autorevole deve avere capacità di ascolto e di rivedere le sue decisioni».

L’attuale ministro della Giustizia Carlo Nordio, conosciuto come un garantista («la vita del detenuto è sacra»), ha chiesto il parere della direzione antimafia e antiterrorismo e del procuratore generale di Torino per arrivare ad una decisione condivisa da parte del governo, che in una nota ufficiale del 30 gennaio ha ribadito «la volontà di non scendere a patti con chi usa violenza e minaccia come strumento di lotta politica». Una presa di posizione che tiene conto delle proteste e manifestazioni violente promosse a favore di Cospito e che rafforzano, secondo questa visione, l’esigenza per lo Stato di recidere ogni collegamento del detenuto con l’esterno per le esigenze di sicurezza previste dall’art. 41 bis.

Nuove azioni a sostegno di Cospito sono annunciate in diverse città italiane a partire da Roma dove è previsto un corteo organizzato per sabato 4 febbraio. È fondato il timore della crescita di uno stato di tensione in grado di attrarre fasce crescenti di disagio sociale.

Non è certo questo il modo migliore per dare spazio ad una riflessione condivisa della società italiana davanti ai nodi della giustizia penale che presenta molte anomalie e casi che sono difficili da comprendere dalle persone comuni. Sono in stato di libertà, ad esempio, terroristi di diversa ispirazione non pentiti e condannati a più ergastoli, mentre detenuti più fragili e senza reti di protezione fanno fatica ad essere difesi e sono i più esposti al pericolo dell’esclusione e del mancato reinserimento sociale, obiettivo ultimo nell’ambito di una “finalità rieducativa” della pena, quale prevista dalla nostra Carta costituzionale.

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