Lo scontro non risolve il disagio sociale

Intervista al sindacalista Stefano Biondi, sui recenti episodi di contestazione contro la Cisl
Action v Cisl

Uova, fumogeni e vernice lanciati contro la sede nazionale della Cisl da parte del movimento antagonista Action che, come dice il nome, agisce con azioni dimostrative per «smascherare il volto brutale della globalizzazione senza diritti», individuando nella Cisl di Raffaele Bonanni il sindacato simbolo della collaborazione con governo e Confindustria. Dopo il fumogeno lanciato contro lo stesso Bonanni alla festa del Partito democratico di Torino, altri episodi più recenti, definiti di tipo “squadrista”dalla condanna pressoché unanime dell’opinione pubblica, fanno emergere un clima di forte tensione tra gli stessi lavoratori. Abbiamo posto alcune domande al sindacalista della FibaCisl, Stefano Biondi.

 

Come interpretare questi gesti di contestazione?

«Il clima di disagio è molto alto nel Paese quando si passa dalle analisi teoriche sulla crisi alla vita di tanti senza speranza che si sentono esclusi. Bisogna saper riconoscere questo dato di fatto dandogli espressione e non usandolo come azione di forza eversiva che non può che alimentare reazioni repressive e fare il gioco di chi non vuole parlare dei problemi reali, ma ridurre tutto ad una questione di ordine pubblico».

 

La Cisl ha sempre manifestato, nella sua storia, il rifiuto di un classismo manicheo per arrivare a soluzioni pragmatiche. Ma non vi pesa questa accusa di “complicità” con gli imprenditori?

«Siamo un sindacato con tante culture capaci di dialogare al proprio interno e aperti sempre al confronto con chiunque sia disposto a sedersi attorno allo stesso tavolo. Non si tratta, in questo momento storico, di alimentare scontri di egemonia tra i lavoratori, ma di capire come salvaguardare posti di lavoro e diritti delle persone davanti a soggetti come le imprese transnazionali che operano a livello planetario senza interlocutori capaci di imporre regole efficaci. Bisogna saper agire sul governo delle società che si muovono come oligarchie senza freni. È quello che cerchiamo di fare nella pratica quotidiana della contrattazione. Il che non mi sembra affatto una posizione subalterna. Anche nei confronti del governo va messa in luce la manifestazione nazionale del prossimo 9 ottobre sul fisco giusto proposta da Cisl e Uil».

 

Cosa proponete?

 

«Si tratta di dare spazio ad una giustizia che non può essere affidata solo ai contratti di lavoro che finiscono per interessare solo coloro che hanno ancora la forza per trattare. In un tempo di vacche magre, vogliamo affrontare il nodo vero della redistribuzione della ricchezza in maniera equa, dotando di mezzi effettivi la lotta all’evasione fiscale e richiedendo l’aumento delle detrazioni da lavoro dipendente e da pensione. Si tratta di ridurre le aliquote fiscali sui redditi più bassi e soprattutto su quella fascia di popolazione il cui reddito è così scarso da non poter neanche usufruire delle detrazioni fiscali. Insieme a tante altre istanze di giustizia sociale, chiediamo, con forza, che sia innalzata l’aliquota fiscale sulle rendite finanziarie dal 12,5 per cento al 20 per cento come già avviene nei principali Paesi dell’Unione europea. Mi chiedo: perché su questi punti centrali non c’è la Cgil ?»

 

Epifani, segretario generale della Cgil, condannando ogni gesto violento, propone di ripartire da ciò che unisce. Per esempio dalla difesa della legalità a Reggio Calabria.

«Sono più che d’accordo. Ma non basta la condanna. Deve avere il coraggio di aprire una riflessione interna all’interno della Cgil, come ha fatto il sindacato intero negli anni delle grandi contestazioni, per bloccare sul nascere ogni tentazione eversiva che, in questo contesto politico, sarebbe devastante. Occorre ripristinare un clima di reciproco riconoscimento sui luoghi di lavoro. Mi rendo conto che la Fiom sta dando espressione ad una parte della sinistra che è stata esclusa dalla rappresentanza parlamentare. Ma finisce per intercettare anche quelle fasce di contestazione ancora più radicale che poi è difficile governare. Occorre una grande responsabilità di tutte le parti per evitare di cadere in uno stato di guerra dove si chiude ogni spazio di dialogo e tutti si diventa più poveri e fragili davanti alla complessità del mondo del lavoro.»

 

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