Lo scontro non paga

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Disgregazione sociale, ovvero tutti contro tutti. Autoferrotranvieri, governo e sindacati, Cobas e confederali, enti locali e centrali” Va in onda il balletto delle responsabilità, la commedia delle accuse reciproche, lo sceneggiato del colpevole di turno. Il risultato finale è della serie: Chi l’ha visto?” l’autobus in questo caso. Gli scioperi che particolarmente dagli inizi di dicembre stanno coinvolgendo migliaia di lavoratori dei trasporti, stanno contemporaneamente mettendo a dura prova l’intero paese. Quello del trasporto pubblico, infatti, è un settore che tocca milioni di persone che se ne servono per le necessità più varie della vita quotidiana. Certo si sono create tante occasioni di improvvisarsi angeli custodi, di accorgersi delle necessità altrui, di mettersi d’accordo per usare una macchina anziché cinque, di rispolverare biciclette e monopattini, ma è evidente che uno sciopero in questo settore ha delle ripercussioni molto più gravi che in altri. Difficilmente non se ne viene danneggiati. Anche chi scrive uno sciopero di quelli improvvisi l’ha vissuto sulla propria pelle a Roma. Sì, non è stato drammatico farsi un’ora di passeggiata per tornare a casa passando per le vie del centro storico della città, ma certo non è stato altrettanto piacevole incrociare alle fermate degli autobus sguardi smarriti di gente che non sapeva come fare per raggiungere la propria abitazione distante due-tre ore a piedi. Anziani che contano su quel tragitto di qualche fermata, famiglie con bambini (oltretutto eravamo sotto Natale), persone che comunque trenta euro di taxi (a trovarlo) non si potevano permettere di spenderle. Lavoratori che, al pari ed anche più degli autoferrotranvieri ribelli (che non sono i meno retribuiti d’Italia), faticano ad arrivare alla fine del mese. Insomma se condividiamo il diritto allo sciopero, se cerchiamo di comprendere le motivazioni dell’agitazione, se ci sforziamo di metterci nei panni di questi lavoratori, diciamo pure che lo sciopero selvaggio è appunto selvaggio. Punto e basta. E non ci guadagna nessuno. Neanche chi si vede recapitare qualche decina di euro in più in busta paga. Alla fine, infatti, i conti non tornano. A Milano, la città più colpita da sciopero selvaggio, il 12 per cento delle persone non è andato al lavoro mentre il 27 per cento è arriva- to con più di un’ora di ritardo. Sono saltati il 37 per cento di appuntamenti e riunioni in ufficio. In media ogni azienda ha perso il 14 per cento del fatturato giornaliero corrispondente a 434 euro. E i cittadini in seguito alle giornate lavorative perdute, agli appuntamenti disdetti, alle ferie obbligate, al costo dei taxi hanno subìto, secondo il Codacons, un danno di 50 milioni di euro. Quanto basta per passare da un’iniziale comprensione della protesta ad un’esasperazione degli animi. Chi svolge un servizio come la sanità o il trasporto pubblico – afferma il prefetto di Genova Giuseppe Romano – ha un patto con la città, un patto non scritto ma che va rispettato. Ma così è stato stracciato. Se in tanti hanno aderito a questo tipo di protesta c’è anche chi, pur insoddisfatto dell’accordo raggiunto, ha però richiamato i colleghi al senso di responsabilità verso altri operai che non possono permettersi di perdere una giornata di lavoro, ad esempio. O verso chi non sa come fare per andare in ospedale. E potremmo continuare. Ecco perché non è mancato chi ha continuato a lavorare, chi ha capito che non si va lontano se non ci si intende fra aziende e lavoratori, fra governo e sindacati, fra sindacati stessi. E c’è chi ha individuato e proposto vie alternative allo scontro: assemblee, incontri, dibattiti, volantinaggio ovve- ro dialogo. C’è pure chi ha cercato di far comprendere ai propri colleghi che la loro forza è la gente. Se ci sostiene – qualcuno ha affermato – allora possiamo continuare a fare rivendicazioni, altrimenti è inutile battere i pugni. Purtroppo sta passando al linea dello spacchiamo tutto, sostenuto dalla smania di protagonismo di un certo sindacalismo di base che però è fuori tempo. Insomma ci sono altri modi per condurre la stessa battaglia. Non ultimo lo sciopero, ma con il dovuto preavviso e nel rispetto delle fasce protette, come regolamentato da una legge apposita. Salvaguardare il diritto di sciopero – mi dice Pierangelo Tassano sindacalista a Genova per tanti anni – non è stato automatico. E fa riferimento al progetto di autoregolamentazione studiato dai sindacati confederali, una vera e propria conquista sul finire degli anni Settanta. Fa parte di questa autoregolamentazione la coscienza ad esempio che le rivendicazioni di categoria devono tener conto delle esigenze della collettività. Ma bisogna continuare ad educarci in questo senso – aggiunge il mio interlocutore – pena il disfacimento del senso sociale. A ben guardare infatti, bisogna dire che questi lavoratori hanno inferto un danno al cittadino, chiusi nella difesa dei soli propri interessi con il rischio, reale, di un egoismo di massa, dove ognuno pensa alla propria esistenza e basta. Se non torniamo alla concertazione non c’è via di scampo. Questo vuol dire che anche il governo, qualsiasi governo, non può fare a meno di interloquire con le parti sociali in un confronto alla pari. Altrimenti ci si ferma a un dialogo che nella sostanza rimane una pura formalità. Diventa facile a quel punto raccogliere consensi intorno a qualche euro in più. Quando si tocca la busta paga siamo tutti sensibili. Il confronto la strada migliore A colloquio con Savino Pezzotta, segretario generale della Cisl. Il confronto la strada migliore Segretario, a guardare dall’esterno la vicenda dagli ultimi scioperi, appare evidente che ci troviamo di fronte ad un grosso difetto di concertazione. Eppure ci saranno stati anche tanti sforzi per trovare un dialogo fra le parti. Com’è andata? Diciamo che questa vertenza degli autoferrotranvieri è durata 24 mesi, ha avuto otto scioperi e fino all’ultimo momento le nostre controparti non sono venute a fare altre proposte. Abbiamo assistito ad un continuo rimpallo fra i comuni, le aziende, le regioni e il governo. È stata una gestione delle relazioni sindacali non corretta. Bisogna anche chiarire che non stavamo discutendo il rinnovo del contratto ma l’adeguamento del tasso di inflazione. La responsabilità di quanto è avvenuto è quindi di chi ha dilazionato e ha esasperato gli animi. Non possiamo accusare solo i lavoratori, anche se possono aver esagerato. Se l’accordo raggiunto era il massimo che si poteva ottenere, perché non era possibile ottenere di più? Perché ci siamo trovati nelle condizioni in cui la vertenza comunque andava chiusa. Il contratto di cui stiamo discutendo di fatto è scaduto il 31 dicembre 2003 e nel 2004 bisogna varare una nuova piattaforma, per cui dovevamo fare in modo che l’adeguamento dell’inflazione non si sovrapponesse al contratto che bisognava rinnovare a partire già dal 1° gennaio. A questo è servito l’intervento delle confederazioni. Che poi i lavoratori non facessero salti di gioia lo sapevamo ma in coscienza, con tutta onestà non avevamo altra possibilità. Chi dice che ve ne sono vuol continuare a illudere i lavoratori. Voglio ricordare che per rinnovare quel contratto abbiamo dovuto rincarare la benzina perché non c’erano altre disponibilità di risorse . Perché allora i lavoratori non l’hanno capito? Adesso lo stiamo spiegando nelle assemblee e lo valutiamo insieme. Tra federalismo fiscale e decentramento ci troviamo nel mezzo del passaggio di competenze fra stato e regioni. Quanto ha giocato in tutta questa vicenda il rapporto governo – enti locali? La questione è che in questo federalismo (detto fra virgolette) si sono trasferite agli enti locali e alle regioni varie competenze ma non si è attuato il federalismo fiscale, anzi non se ne parla neanche, basta guardare la finanziaria. Se si trasferiscono competenze bisogna trasferire anche poteri, risorse, altrimenti non funziona, si fa solo confusione. Quanto dovranno aspettare gli autoferrotranviari per la discussione della nuova piattaforma per il 2004-2007? Spero che questa volta il contratto si rinnovi nei tempi fisiologici perché è troppo facile puntare il dito sui lavoratori ma nessuno ha mai puntato il dito su chi ha più responsabilità, le imprese, i comuni, il governo . I Cobas rivendicano adesioni in massa alla protesta anche degli iscritti ai sindacati confederali. Cosa è successo? Che sia avvenuto non ci preoccupa. Io però vorrei vedere per una volta un accordo fatto dai Cobas, per poter esprimere anch’io un giudizio su un accordo siglato da loro. A meno che si sia deciso di non fare mai accordi. Credo invece che se vogliamo veramente tutelare i lavoratori qualcosa ogni tanto bisogna farla. Da dove ripartire per ricomporre quelle eventuali fratture che si sono verificate fra sindacati e iscritti, fra sindacati e governo, fra sindacati stessi? Bisogna parlarsi. Nei giorni scorsi sono stato ad un’assemblea a Milano: abbiamo discusso, ci siamo spiegati e adesso andiamo avanti. Credo che la strada migliore sia quella del confronto. Anche col governo, nonostante sia diventato difficile il dialogo per via di politiche economiche che non condividiamo. E cogli altri confederali ci sono ancora tante cose da chiarire. LA TRATTATIVA” L’aumento richiesto in busta paga, sulla base del calcolo dell’inflazione reale rispetto a quella programmata, era di 106 euro più l’una tantum di 1200 euro a ciascun tranviere per recuperare il mancato aumento nei due anni trascorsi dalla scadenza del contratto. L’intesa nazionale siglata lo scorso 20 dicembre tra sindacati confederali e governo prevede un aumento di 81 euro e l’una tantum di 970 euro. “e le regole dello sciopero La legge 146 del 1990 modificata nel 2000 che regolamenta il diritto di sciopero nel settore dei servizi essenziali prevede: preavviso: lo sciopero deve essere proclamato per iscritto indicando durata, motivazioni e modalità almeno dieci giorni prima; rarefazione: gli accordi collettivi devono indicare gli intervalli minimi da osservare tra uno sciopero e la proclamazione del successivo; precettazioni: in casi gravi il primo ministro o il prefetto possono ordinare il differimento o la riduzione della durata di uno sciopero; sanzioni: il rifiuto della precettazione da parte dei lavoratori è punito con una sanzione da 258 a 516 euro per ogni giorno di mancata ottemperanza.

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