Lo schiaffo di Anagni
Settembre è arrivato. Venti leggeri trascorrono per Anagni, dove Bonifacio cerca ristoro ogni estate. Il palazzo di famiglia, collegato direttamente con la cattedrale, è sulla cima della città.
Marino, roccaforte dei Colonna, non è così lontana. Vi è giunto da alcune settimane Guglielmo di Nogaret. Re Filippo non ha perso tempo. L’ha inviato da Sciarra Colonna, fratello del cardinale Pietro, esautorato da Bonifacio, per pianificarne l’arresto.
Il papa conosce le trame dei Colonna e dei suoi nemici. Se ne è fatti molti, con il suo modo di agire autoritario. Sa che è iniziata una campagna diffamatoria, che i consiglieri reali hanno falsificato le sue lettere a Filippo. Il popolo, informato, si è ribellato. È chiaro: Filippo non vuole la pace.
[…]
Nogaret e Sciarra raccolgono le truppe: sono soldati francesi e partigiani dei Colonna. Non è un gruppo omogeneo, ma li unisce la voglia di vendetta su Bonifacio.
È l’alba del 7 settembre. Anagni, alta sul colle, è un’ombra vaga tra la nebbia, circondata dalle mura dai blocchi poligonali. Un folto gruppo di armati, quasi un migliaio, si sta avvicinando alla città. Incredibile. Trovano aperte le porte. Chi l’avrà fatto?
Gli armati svegliano la città sonnolenta: «Viva il re di Francia e Colonna! Muoia papa Bonifacio!». La gente salta giù dal letto, terrorizzata. Episodi del genere finiscono spesso in ruberie, stupri e omicidi. Nel palazzo del papa si grida: «Cosa sta succedendo?». La risposta arriva fulminea: è giunto Sciarra Colonna a uccidere papa Bonifacio per conto del re di Francia!
Tutto si svolge in modo concitato e rapido. Il podestà incontra Nogaret e Sciarra, fa suonare le campane. Raduna il popolo sulla piazza centrale. Spiega le ragioni della missione francese: il re agisce nell’interesse della Chiesa! Si elegge un capitano a guidare l’assalto al palazzo papale: è Adinolfo di Mattia, un nemico giurato di Bonifacio.
[…]
Si sfondano le porte della cattedrale spaventando la gente che vi sta pregando, perché da qui è più facile entrare nelle stanze del papa. Pietro, suo nipote, vede gli armati irrompere con furia: si arrende, insieme ai due figli.
La domenica, le strade sono affollate di persone venute per la festa e il mercato. Il papa è solo, piange mentre attende Sciarra, che è deciso a ucciderlo. Poi, ritrova la sua forza d’animo, si veste degli abiti pontificali: tiara, manto purpureo.
Tiene stretta al petto, quasi abbracciandola, una croce e in una mano le chiavi. Sta sul trono in attesa degli armati.
Accanto a lui c’è solo il cardinale Pietro Ispano. Tutto il seguito del papa è fuggito, ma il cavaliere del Tempio e quello di san Giovanni, coraggiosamente, sono rimasti, a rischio della vita.
Sciarra intanto incendia porte e finestre, sfonda la resistenza ferendo e uccidendo. Poi, entra insieme a Nogaret e ai soldati, disarmando rapidamente le guardie.
Bonifacio è in trono. Sciarra e gli altri lo insultano violentemente. Gli ordinano di dimettersi. Il papa rifiuta. «La nostra è stata un’elezione legittima», risponde con forza. Sciarra, infuriato, estrae dal fodero la spada: vuole tagliargli la testa. «Ecco qui il capo, ecco il collo», dice Bonifacio, pronto a morire. Sciarra gli sferra con la mano guantata di ferro uno schiaffo e alza la spada per colpire. Nogaret lo blocca: «Il papa deve rimanere vivo!».
I soldati francesi fanno razzia di tutto quello che trovano nell’appartamento: utensili, vestiti, tessuti, oro e argento, reliquie, documenti, persino la cantina. Bonifacio li vede spartirsi i suoi vestiti e commenta: «Il Signore dà e il Signore prende».
Lo tengono prigioniero. Bonifacio non mangia, non beve, non dorme. È sotto choc.
Sciarra vorrebbe uccidere Bonifacio, Nogaret invece deve condurlo in Francia. Mentre stanno discutendo, il lunedì la gente cambia opinione. Uccidere il papa? Sarebbe uno scandalo per il mondo cristiano, un disonore per la città. Per di più, i soldati francesi si stanno rivelando arroganti e ladri.
Così, «anche se papa Bonifacio ha commesso molte cattiverie – dice la folla – andremo a palazzo a liberarlo». Non si avvisa il capitano del popolo. La gente si arma e corre verso il palazzo papale gridando: «Viva il papa, morte allo straniero!». La lotta è dura, anche Nogaret viene ferito.
[…]
Nel pomeriggio, nella piazza della cattedrale è riunita una grande folla. Bonifacio, smagrito e in lacrime, arriva, sostenuto dai camerieri. Veste la semplice tonaca di lana bianca. Ringrazia con un filo di voce Dio e chi gli ha salvato la vita. Ora non ha nulla da mangiare e da bere. «Sono povero come Giobbe», ammette. Chiede un poco di pane, di vino o di acqua. In cambio darà la sua benedizione, e assolverà tutti quelli che gli porteranno qualcosa.
A palazzo arrivano alcune donne: portano cesti di pane, frutta, acqua e vino. Il papa le accoglie con un sorriso stanco, e manda un cavaliere alla gente in piazza con un messaggio: perdona la città e chi ha preso parte all’assalto.
Una settimana dopo, Bonifacio lascia Anagni, tersa nella luce autunnale. «Non ha altro che gli occhi e la lingua, tutto il resto del corpo è distrutto», dice un osservatore, guardandolo.
Il mercoledì arriva a Porta san Giovanni: Roma è illuminata da un tramonto bellissimo. Il sole dardeggia sui mosaici della basilica lateranense, sulla loggia che egli stesso ha fatto costruire e da cui benediceva, alto e regale sul trono, il popolo. Altri tempi.
I cittadini accolgono Bonifacio con solennità. Il pontefice è stremato. Va a stare in Vaticano, oltre il Tevere. È un anziano di settantatre anni, sottoposto a umiliazioni pesanti che lo stanno schiacciando. Non firma più nessun documento, passa tre settimane di isolamento fra la malinconia e la voglia di riscossa. Non sa dove rifugiarsi: ha nemici ovunque.
Nella notte, buia e solitaria, fra l’11 e il 12 ottobre, ha un crollo: dolori atroci. Il medico, Arnaud di Villanova, scuote la testa: «Nulla da fare. Il corpo non reagisce più alle medicine. Forse papa Bonifacio non vuole più vivere». Accanto al letto, qualche cardinale, i cavalieri del Tempio e gli Ospedalieri.
Un infarto si porta via Bonifacio. Lo seppelliscono nella tomba che si è già preparato in una cappella dedicata a san Bonifacio, dove si è fatto ritrarre da vivo dallo scultore Arnolfo di Cambio. È una giornata tempestosa, lampi e fulmini sollecitano la fantasia dei nemici. Diranno che è morto bestemmiando, senza sacramenti, suicida; anzi, che il diavolo è venuto a portarselo via.
Il re Filippo ha perso l’avversario più formidabile, ma non l’ha avuto nelle sue mani. La guerra contro Bonifacio non è finita. Se ne renderanno presto conto i Templari.
Mario Dal Bello, Gli ultimi giorni dei Templari, Città Nuova, 2013. Per acquistare il volume clicca qui.