Lo scalpello del virtuoso
Non l’hanno capito finché era in vita, cioè fino al 1931. Il milanese Wildt non si adeguava a nessuna sperimentazione avanguardistica, rimaneva sé stesso. Capace di cavare dal marmo virtuosismi impensati, per chiudersi in forme turgide: veri blocchi di anime. Dopo decenni, la mostra forlivese rende giustizia a uno scultore che usava la fatica per ritrovare oltre il sasso, la luce. Wildt ha lavorato molto, nel sacro e nel profano. Si sente in lui che la materia respira. Nei due busti, La vedova e La martire – il primo a Roma e il secondo a Brescia –, è la stessa immagine raccolta nell’identico martirio: del cuore e della carne, ad occhi chiusi. È preghiera, che per Wildt significa assenza di ombre. Talora egli affronta il tono celebrativo con un Pio XI, un Toscanini e un Mussolini “imperiali”. È la parte più caduca della sua arte. Ma è nelle variazioni sulla Madre che Wight si avvicina al nostro bisogno di recuperare il sentimento vero. Nella foto, il marmo con Maria che dà alla luce i pargoli cristiani (1918) contiene una finezza, un candore di linee che è tenerezza. Bella come un canto di amore. Questo è Adolfo Wildt.
Wildt. L’anima e le forme. Forlì, Musei San Domenico. Fino al 17/6 (cat. Silvana editoriale).