Lo stato di salute dell’asse franco-tedesco

Storicamente, Francia e Germania hanno avuto un ruolo di guida nell’evoluzione dell’integrazione europea. Il duo è stato, negli ultimi anni, trainato dalla Germania, ma ora, con Macron, le cose stanno cambiando
Sipa via AP Images

Sin dalla sua elezione, Emmanuel Macron non ha nascosto le sue ambizioni riformatrici, soprattutto sul piano economico, a livello sia nazionale che europeo. In un discorso alla Sorbona, nel settembre 2017, ha delineato la sua visione per il futuro dell’Ue: accento su sicurezza, contro il terrorismo e per una maggiore integrazione nel campo delle forze armate; un ambizioso piano di riforma dell’Eurozona in modo da proteggere meglio gli Stati dell’euro in caso di future crisi, con un bilancio comune per effettuare investimenti, un parlamento e un ministro delle finanze per i 19 Paesi membri della zona euro (idea, quella del ministro delle finanze, sostenuta anche dalla Commissione Juncker, che vedrebbe così il proprio ruolo rafforzato); e la volontà di vedere la piena partecipazione della Germania, come partner attivo e non solo acquiescente, nell’attuazione delle sue idee. Germania che, dal canto suo, sta ancora cercando di formare un governo, dopo le elezioni del 24 settembre. Angela Merkel è a capo di un governo ad interim, in attesa dello sblocco dei negoziati – attualmente in corso con i socialisti di Martin Schulz – il cui esito definirà anche la linea che la Germania attuerà in Europa. La debolezza della gamba tedesca, nello storico motore a due fasi dell’integrazione europea, non ha impedito recenti progressi.

Rafforzamento dell’Eurozona. Il 15 dicembre, il Consiglio europeo ha raggiunto un accordo politico su tre elementi che rafforzeranno la governance della zona euro: la creazione di un Fondo monetario europeo – pienamente autonomo e non più intergovernativo – per aiutare gli Stati in difficoltà, il completamento dell’unione bancaria (con una linea di credito del futuro Fme o garanzie statali per salvare le banche in difficoltà), e l’“Unione dei mercati dei capitali”, che permetterà finanziamenti più agevoli per le imprese. Non proprio risultati all’altezza delle ambizioni di Macron – che comunque molti in Germania non condividono, temendo un allentamento del rigore nei conti pubblici – ma dei passi avanti comunque sostanziali.

Difesa comune. Nel campo della difesa, 25 Stati (tutti tranne Danimarca, Malta e Regno Unito) hanno dato vita ad una cooperazione strutturata permanente, che permetterà, tra l’altro, enormi economie negli approvvigionamenti militari e nelle spese per operazioni militari (si parla di oltre 20 miliardi l’anno) e, a termine, forze armate europee pienamente interoperative tra gli Stati partecipanti. Francia e Germania sono state le principali artefici della “campagna acquisti”, forse eccessiva nei risultati: per volontà della Germania, la cooperazione è stata estesa al più grande numero di Stati possibile, anche se questo avrà come effetto di diluirne la capacità operativa. Alcuni osservatori fanno notare che la presenza, ad esempio, della Polonia potrebbe rallentare il processo di integrazione atteso dalla cooperazione strutturata.

Negoziati sulla Brexit. Alcuni, nel Regno Unito, tra cui il capo negoziatore David Davis, si aspettavano di poter trarre vantaggio dall’attuale debolezza politica del governo tedesco. Così non è stato. La prima fase dei negoziati sulla Brexit, approvata dal Consiglio europeo il 15 dicembre, si è conclusa con una sonora disfatta per le posizioni britanniche. Il Regno Unito continuerà a versare al bilancio comune quanto si era impegnato a fare nel quadro finanziario pluriannuale 2014-2020; i 27 si sono mostrati straordinariamente uniti nel sostenere la posizione irlandese sullo statuto delle sue frontiere, che rimarranno aperte verso l’Irlanda del Nord anche quando il Regno Unito lascerà l’Ue; i 4,2 milioni di cittadini britannici e dell’Ue che vivono nel territorio della controparte continueranno a godere degli stessi diritti anche dopo la Brexit.

Nel funzionamento delle istituzioni europee, in cui la Commissione propone e il parlamento europeo e gli Stati decidono, è essenziale una forte leadership politica. Ci auguriamo che anche l’Italia, dopo le elezioni del 2018, torni a svolgere un ruolo di primaria importanza nel dare impulso all’evoluzione dell’Ue, oggi dominata, ancora una volta, da Francia e Germania, per la forza, rispettivamente politica ed economica, che hanno.

 

 

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